Roma città persa. Come e perché la Capitale «di nuovo in declino» è arrivata al suo (quasi) commissariamento

Inchieste per corruzione. Borgate in rivolta. Trasporti in tilt. Monnezza sovrana. E un sindaco buono più che altro per la pesca subacquea. Unica speranza: il Giubileo

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Solo il Giubileo straordinario, il cui inizio è fissato per l’8 dicembre, potrebbe in parte condonare i peccati civili di Roma Capitale e concedere allo stesso tempo – tempi di consegna permettendo – ai romani di avere una città mediamente più pulita, percorribile e agibile rispetto a ciò che si ritrovano a subire oggi. Più onesta non si sa. Vallo a spiegare infatti a Roberto Rossellini che la “città aperta”, raccontata con la sua impronta neorealista, solo grazie all’“occupazione” dei pellegrini avrà una cura temporanea alla mala gestio che l’ha trasformata plasticamente in “Roma città persa”. Qualcosa sulla quale nemmeno Ennio Flaiano avrebbe mai immaginato di poter giocare a un livello così alto di parossismo.

Ebbene sì, rifiuti, trasporti nel caos, infiltrazioni malavitose, un sistema di corruzione trasversale e un sindaco di fatto commissariato: questo è il ritratto di Roma, duemila anni dopo la morte di Augusto, la cui amministrazione ha rischiato – ma sarebbe stata un’onta irrimediabile per tutto il Paese – di essere addirittura sciolta per mafia. Questa è la vista della città dalla strada e non dalle splendide terrazze barocche e rococò de La grande bellezza.

Certo, il degrado nella Capitale d’Italia non è solo responsabilità della politica: tra problemi strutturali e un senso di impotenza che attraversa e paralizza ormai ogni velleità, la città sembra essere diventata «anemica spiritualmente», come ha sottolineato il cardinale vicario Agostino Vallini. E se è vero che tra i rioni riecheggia ancora l’antico detto – «Roma lo ha già visto» – Tempi ha cercato di entrare tra le maglie dei problemi, con un viaggio nel girone della città eterna (e un po’ dannata), per capire che cosa sta “vedendo” oggi.

Gli occhi degli “stranieri”
Il punto sulla Capitale lo hanno fatto bene gli stranieri. Puntando il dito. È accaduto pochi giorni fa con l’ormai celebre funerale kitsch di uno dei componenti del clan Casamonica, con i siti di tutto il mondo a illustrare la pièce in stile Il padrino che ha fatto scopa, dal punto di vista dell’immaginario, con il brand di “Mafia Capitale” (che è diventato, non a caso, anche un videogame). Pochi giorni prima la “sfilata” funebre, il New York Times titolava così a proposito dello stato di salute della Capitale: “Il declino di Roma, di nuovo?”, portando in prima pagina l’immagine emblematica dell’immondizia non raccolta tra le strade del centro.

Ecco il quadro del reportage: «Le sterpaglie in alcuni parchi sfiorano le ginocchia, i lavoratori della metropolitana, scontenti, hanno rallentato il servizio a passo d’uomo, un incendio ha reso il più importante scalo della città (Fiumicino), caotico e affollato, gli arresti di funzionari pubblici si accumulano rendendo evidenti le infiltrazioni criminali nel governo della città». E la morale: «Tutto questo si aggiunge a quello che i romani chiamano “degrado” – il degrado dei servizi, degli edifici, della qualità della vita – e alla sensazione generale che la loro antica città, ancora più del solito, stia cadendo a pezzi».

Ha fatto eco, nel racconto di quest’estate di passione, anche il parigino Le Monde: «Dal quartiere Bravetta, a ovest della città, a quello di Centocelle, a est, la città eterna sembra essere solo desolazione». Fino a scolpirne l’epigrafe: «Roma, la degradata».

Caos Capitale
Se questo è il biglietto che gira per il mondo la domanda è: come è arrivata a questo punto Roma? Andiamo con ordine. Negli ultimi mesi – assieme ai nodi strutturali legati al debito – l’Urbe è finita sotto i riflettori a causa soprattutto del combinato disposto tra le infiltrazioni della criminalità organizzata, il caos che riguarda la gestione del trasporto pubblico e quello dei rifiuti.

Ma c’è un problema a monte che spesso e volentieri viene eluso nelle analisi: Roma non è ancora “Capitale” come lo sono, ad esempio, Londra e Bruxelles. Dal 2009, infatti, è partita la riforma di Roma Capitale che avrebbe dovuto dotare la città di poteri e risorse autonome, con l’obiettivo finale – condiviso tuttavia solo da alcune forze politiche – di arrivare a Roma Regione, divisa in 15 Comuni autonomi, gli attuali Municipi. Ma la riforma si è arenata: manca la legge regionale che dovrebbe delegare altri poteri e fin qui è stata timida, sia in termini di poteri/funzioni che di risorse proprie. Che cosa ha determinato questa realtà? Il fatto che la città sia trattata dallo Stato mediamente peggio delle altre città metropolitane. E ciò proprio perché i trasferimenti sono parametrati sul numero di cittadini e non sulla superficie amministrata. Eppure, la maggior parte dei servizi erogati dipende dalla superficie: trasporti, pulizia, buche, verde pubblico, eccetera.

Per intenderci: il Comune di Roma è un ente che amministra un territorio enorme, pari alla somma delle superfici di Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Catania e Bari. In pratica ha un territorio pari alla somma dei territori delle prime nove città per abitanti. Ecco, Roma ha, in valore assoluto, più trasferimenti dallo Stato delle altre grandi città italiane. Ma è terza (dietro Palermo e Genova) in termini di trasferimenti pro-capite ed è solo settima in termini di trasferimenti per chilometro quadrato. Insomma, Roma è affetta sì da gravi problemi di governance a tutti i livelli, ma se ancora si fatica a riconoscere il suo status eccezionale di Capitale – questa volta non è retorica – di livello “europeo”, il nodo si ingarbuglia ulteriormente.

Roma s’è persa (Marino)
A proposito di governance: Roma, in questi mesi, s’è via via “persa” Ignazio Marino. Se da un lato il sindaco, dicono, è impegnato sulle sudate carte del suo libro sui due anni alla guida della Capitale, nel frattempo nella sede vacante del Campidoglio è arrivata la troika. Da tempo, del resto, Matteo Renzi (preoccupato del ritorno anticipato alle urne a Roma) aveva già “affiancato” Matteo Orfini al sindaco, come tutor politico. Adesso vi è un’intera squadra a occuparsi di Roma con o al posto suo: Franco Gabrielli, il super prefetto di Roma (e ipotesi elettorale del premier su Roma), si occuperà del Giubileo e veglierà sul funzionamento della macchina comunale, dall’immigrazione all’ambiente fino all’emergenza abitativa. Sulla gestione del debito tornerà la renziana Silvia Scozzese (uno schiaffo al sindaco, dato che l’ex assessore alle Finanze della sua giunta aveva sbattuto la porta con le sue dimissioni qualche mese fa) e il jolly Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Anticorruzione, vigilerà sulle procedure.

Se è stata l’esplosione della seconda tranche dell’inchiesta di Mafia Capitale, alla fine del 2014, a scoperchiare definitivamente lo scenario del fenomeno corruttivo a Roma, sempre questa ha fatto emergere in maniera esponenziale la debolezza del primo cittadino che, seppur si è trovato in una condizione rispetto alla quale non ha responsabilità diretta, non ha saputo orientare – secondo gli oppositori, anche interni al suo Pd – una reazione politica degna dello scenario emerso dalle accuse. Ciò che è avvenuto negli ultimi giorni è indicativo: Ignazio Marino era in vacanza negli States e ai Caraibi nei giorni in cui Roma è stata oggetto della relazione del prefetto Gabrielli richiesta dal ministro dell’Interno Alfano sul caso di Mafia Capitale. E non è rientrato né il giorno dopo il polverone del funerale di Vittorio Casamonica né in quello della relazione di Gabrielli e nemmeno il giorno della prima task force in vista del Giubileo.

Proprio dal suo stesso partito, il Pd, hanno calcolato una sua assenza ogni 48 giorni. Le frequenti “pause” del sindaco, per sua sfortuna, sono coincise con crisi importanti per la città: come la rivolta popolare di Tor Sapienza contro il centro di accoglienza, quando si trovava ancora una volta negli Usa. Stavolta, però, l’assenza prolungata da Roma (“ovviata”, a suo dire, dai collegamenti via Skype) è stata stigmatizzata da tutti, a partire da uno dei custodi della romanità come Gigi Proietti: «È antipatico che se ne resti in vacanza», spiegava l’attore nei giorni scorsi. «Mi pare quasi che in questo atteggiamento ci sia un intento provocatorio».

La notizia, poi, che Marino sia stato assente “per scrittura” – a Natale, infatti, sarebbe prevista l’uscita del suo libro (libro-vendetta?) che ripercorre i due anni alla guida della Capitale – denota un’attitudine che chiarisce come il rapporto non sia mai nato tra i romani e “il marziano”: tra missioni millenariste («snidare il male da Roma») e sogni di grandeur (come la pedonalizzazione dei Fori imperiali, progetto che ha scippato il Colosseo ai cittadini), i romani sono costretti a vivere una quotidianità con senso di smarrimento. Senza una guida.

Traffico e rifiuti
Già, senza guida (la stessa Repubblica è durissima nei confronti di Ignazio Marino), non sorprende che la città debba fare i conti con due crisi croniche – i trasporti e i rifiuti – che si trascinano da più di un decennio ormai, invocando la cura di “partner” (privati?). Scioperi, metro al rallentatore, autobus fermi nelle rimesse, mezzi senza aria condizionata nel luglio più caldo di sempre: il sistema della viabilità pubblica è saltato. E qui subentra il grande capitolo Atac, l’azienda municipale che si occupa dei trasporti: azienda di fatto al collasso, rispetto alla quale il sindaco ha addirittura aperto all’ipotesi di privatizzarne una quota. Il tutto aggravato dal cosiddetto sciopero bianco di alcuni macchinisti della metropolitana, come reazione al nuovo contratto e all’ipotesi del badge.

Anche l’aeroporto di Fiumicino ha collezionato una serie di brutte figure durante tutta l’estate. Ritardi biblici, contenziosi con i dipendenti e, a coronare il tutto, il problema incendi, che hanno bloccato le partenze. E ritorna qui anche il derby con Milano in quest’anno dell’Expo (guarda caso evento sponsorizzato fortemente da Renzi, ben più cauto a “intestarsi” il Giubileo) e il confronto impietoso con gli aeroporti lombardi, dato che Malpensa, Linate e Orio al Serio sono tre hub che funzionano e offrono un servizio di livello internazionale, senza particolari disagi.

Il problema dei rifiuti? A Roma sono in tanti a denunciare come abbia superato il limite raggiunto da Napoli. L’Ama, la municipalità che se ne occupa, nota per l’inchiesta “Parentopoli”, versa in condizioni disastrose, con milioni di euro di debiti ancora irrisolti. Le crisi nel ritiro dei rifiuti sono cicliche. L’inverno scorso la raccolta si è diradata vistosamente, tanto che in uno dei quartieri più popolosi come Boccea si sono visti maiali razzolare tranquillamente nell’immondizia non raccolta, mentre a Torpignattara la spazzatura è rimasta in terra per dieci giorni, così come in molte altre zone. Recentemente si è presentato anche il problema dei mezzi guasti. Il 40 per cento dei macchinari ogni giorno rimane fermo nei depositi, fuori uso e inutilizzabili.

Attenzione: i nodo dei trasporti e dei rifiuti non dipende direttamente da Marino, in quanto il caos rifiuti si trascina da anni e parte della responsabilità è anche delle cattive abitudini. Che la città, insomma, abbia perso il “collante civico” necessario è evidente. E i cittadini lo sanno: da tutti i sondaggi emerge sempre che se la città è sporca e intasata sul banco dei responsabili ci sono anche loro. Il sindaco allora propone, come extrema ratio, l’eventualità, dai trasporti ai rifiuti, di trovare dei partner industriali sul modello Londra. Ma aziende in queste condizioni sono appetibili sul mercato?

Le banlieue
Le banlieue a Roma? La prima si trova in pieno centro. Stazione Termini, per l’esattezza. Accattonaggio diffuso di giorno, con venditori abusivi soprattutto all’esterno e piccole bande di rom a caccia di turisti, rifugio dei senzatetto di notte, che a decine dormono sotto i portici esterni, scene di assoluto disagio con latrine a cielo aperto: è il biglietto di visita, l’entry test della Capitale.

E le altre banlieue? La rivolta delle borgate contro l’arrivo indistinto di profughi – da quelle popolari come Tor Sapienza a quelle residenziali come San Nicola – ha consegnato una situazione ormai al punto di rottura, contro la quale sono scesi in piazza centinaia di cittadini di ogni estrazione sociale. Lo aveva intuito Walter Siti ne Il contagio, romanzo in cui lo scrittore descriveva le borgate romane come un agglomerato indistinto e urbanizzato, distanti oramai dalle città nella città raccontate da Pasolini. Il disagio a Roma insomma è evidente e trasversale: la città immortalata dalla stupenda fotografia de La grande bellezza è sempre più separata dalla città reale, le cui contraddizioni ormai si annidano in pieno centro.

E allora, come un deus ex machina, arriva il Giubileo straordinario convocato da papa Francesco a portare a Roma aspettative e una ritrovata centralità nel mondo. È qui che un po’ tutti – dal Campidoglio a palazzo Chigi ma soprattutto i romani – sperano di poter riattivare un processo, una bussola. Del resto sono previsti quasi 30 milioni di pellegrini fino al novembre del 2016, e la corsa contro il tempo per i mini-cantieri è una scommessa politica ma anche di sistema. Questo perché il ricordo del Giubileo del 2000, che fu un’occasione per l’Italia intera, tanto da far schizzare il Pil, rappresenta un solco per Roma. Città smarrita che ha diritto-dovere di risorgere.

Foto Ansa

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