Al referendum ha vinto l’idea napolitanian-mattarelliana che il voto non conta

Il segretario della Lega Matteo Salvini ieri alle urne per i referendum sulla giustizia (foto Ansa)

Su Dagospia si riporta un articolo di Federico Fubini sul Corriere della Sera nel quale si scrive tra l’altro: «L’aver prefigurato un controllo degli spread, come ha fatto la stessa presidente della Bce il 23 maggio, e l’aver poi annunciato una stretta “sostenuta” senza però aver pronto quel meccanismo, ha innescato un diluvio di scommesse. Tutte contro i paesi più fragili dell’area euro: con i titoli dell’Italia hanno vissuto giornate campali quelli di Grecia, Spagna, Portogallo e in parte persino della Francia».

Stefano Folli sostiene che Matteo Salvini attacca Christine Lagarde per coprire le sue goffe manovre con Mosca. Può essere. Ma, ora, anche Fubini sarebbe salviniano?

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Su Tgcom 24 si scrive: «Bisognerà attendere il secondo turno delle legislative in programma domenica in Francia per sapere se Emmanuel Macron potrà mantenere la maggioranza assoluta, dopo che ieri al primo turno la sua coalizione Ensemble! ha ottenuto il 25,75 per cento dei voti: solo lo 0,09 per cento in più dell’alleanza di sinistra raccolta intorno a Jean-Luc Mélenchon. L’astensione ha raggiunto un nuovo record storico, attestandosi al 52,49 per cento».

La distruzione del bipolarismo storico tra socialisti e destra repubblicana della Francia post gollista sta dando i suoi frutti: il partito del presidente ha il 25 per cento dei voti, l’astensionismo è al 52 per cento. Le difficoltà di Parigi in politica estera dipendono anche dalla sua strutturale debolezza politica, solo in parte compensata dalla forza dello Stato e dell’establishment. Da noi gli imitatori del macronismo, cresciuti sull’onda del commissariamento della politica compiuto da Giorgio Napolitano, non potranno contare neanche sui fattori francesi di “resistenza”.

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Su Affaritaliani Alessandro Amadori scrive: «Sempre che queste tendenze siano confermate, domani a commentare i risultati probabilmente avremo un centrodestra con un importante problema di alleanza da costruire al proprio interno, e un centrosinistra che può vincere soltanto se riesce a contare su un campo “allargato” (che includa il M5s). Il rompicapo delle prossime elezioni politiche 2023 diventa sempre più affascinante».

Le elezioni dirette dei sindaci con annesso bipolarismo sono l’ultimo fattore che permette una seppur sempre più scarsa partecipazione dei cittadini alla vita politica. I leader litigiosi del centrodestra dovrebbero sfruttare il relativo vantaggio che questo sistema offre, proteggendo i loro esponenti più istituzionali (dai Bucci ai Toti, dai Brugnaro ai Fedriga, dalle Moratti ai Fontana, dagli Albertini ai Musmeci) invece di litigare come i polli di Renzi (quello manzoniano, non Matteo). Così la sinistra dovrebbe ripartire dai Bonaccini e dai De Luca piuttosto che dai “prefetti francesi” alla Enrico Letta (o da quelli bruxellesi o washingtoniani).

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «Ma a perdere è stata la democrazia nel suo complesso, perché si dimostra ancora una volta che un istituto di democrazia diretta, concepito come strumento per consentire ai cittadini di partecipare al processo legislativo, attraverso l’abrogazione di leggi considerate dannose, non viene apprezzato nella sua essenza e diventa un’arma di lotta politica degli uni contro gli altri. In questo caso il boicottaggio di tutte le forze politiche è avvenuto nei confronti di Matteo Salvini, che si era intestato la battaglia per la riforma della giustizia fin dalla fase di raccolta delle firme e che ora deve fare i conti con una débâcle davvero clamorosa, anche se per certi aspetti attesa».

La partecipazione più o meno al 20 per cento ai referendum (e poco sopra il 50 per cento alle municipali) è senza dubbio una sconfitta della democrazia. Dal 2011 con lo stordito Mario Monti fino ai nostri giorni con Mario Draghi, il Quirinale ha indotto i cittadini a ritenere che il voto non conta niente e i risultati di questa lunga opera napolitanian-mattarelliana sono di fronte agli occhi di tutti. Naturalmente una bella mano negli ultimi anni l’ha data anche Matteo Salvini, con la sua attitudine da parolaio invece che da politico. Se ti lanci in un’impresa così disperata come un referendum sulla giustizia devi creare comitati, centri di informazione, iniziative, non limitarti a scrivere qualcosina su qualche social. Tanto più se il contesto è caratterizzato dallo svuotamento della politica di cui si è detto.

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