Bene la Corte sui referendum, ma la battaglia non è finita

Note non troppo a margine su cannabis e omicidio del consenziente. Le decisioni della Consulta e i disastri del pensiero radicale. Lettera a Tempi

Il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato durante la conferenza stampa sui referendum (foto Ansa)

Caro direttore, vorrei, se me lo consenti, esprimere due osservazioni a margine (ma non troppo) dei due referendum bocciati dalla Corte costituzionale, quello relativo all’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente) e quello riguardante la coltivazione della cannabis.

La prima osservazione potrebbe apparire formale, ma non lo è. Tutti (proprio tutti, politici, Tg, giornali, commentatori), a proposito del referendum sull’articolo 579, hanno sempre e solo parlato di “eutanasia” e ciò è sostanzialmente sbagliato, anche perché crea un equivoco che è bene chiarire. Infatti, l’articolo 579 non parla di eutanasia, ma di “omicidio”, quello commesso verso una persona “consenziente”. Si tratta di una ipotesi molto più grave di quella contenuta nella parola “eutanasia”, tanto è vero che la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile detto referendum perché, se avessero vinto i Sì non vi sarebbe stata sufficiente garanzia a tutela della vita, soprattutto nei confronti della vita dei più deboli.

La Corte, cioè, si è apertamente espressa nel senso di sottolineare che l’abolizione di parte dell’articolo 579 non avrebbe neppure rispettato quei “paletti” (discutibili) che la stessa Corte ha posto, in una precedente sentenza, nei casi di eutanasia. A conferma che, in questo caso, si deve parlare di omicidio e non di eutanasia. Fortunatamente, ha chiarito come stanno le cose l’ex presidente della stessa Corte, il prof. Giovanni Maria Flick, in una bella e utile intervista al Corriere della Sera, dove ha affermato che «l’aiuto al suicidio è cosa diversa dall’omicidio. Anche di chi lo consenta o lo chieda. Se fosse stato accolto il quesito sarebbe rimasto punito solo l’omicidio dell’infermo di mente o del minore. Non di colui che accoglie la richiesta dell’amico: ‘premi tu il grilletto perché non me la sento’. O di chi lancia una sfida. Pensiamo a TikTok… Ci sono le sfide per gioco tra ragazzi che possono essere mortali… tutto ciò sarebbe stato legalizzato». “Omicidio”, quindi, e non “eutanasia” né “aiuto al suicidio”. Mi sembra giusto chiarire queste differenze, anche per mettere in luce la superficialità, ma anche la barbarie del pensiero mortifero dei radicali.

I quali radicali, ed è questa la seconda osservazione, insieme alle parole di rabbia per la sconfitta subita, si sono affrettati a sottolineare che, comunque, sia in tema di articolo 579 sia in tema di droghe, è «solo questione di tempo», nel senso che prima o poi essi vinceranno, perché la deriva mortifera della storia sta andando, in ogni caso, nella direzione da loro indicata. Vorrei riprendere quella espressione per due motivi.

Primo: non è detto che la “moda” corrente duri così tanto nel tempo. Confido che quando la gente si accorgerà finalmente dei disastri che il pensiero radicale sta producendo nel mondo intero (soprattutto a danno dei più giovani) si produrrà una inversione di tendenza volta a recuperare i fattori elementari di una esistenza veramente umana e non mortifera. Secondo: chi si è battuto vittoriosamente contro i due referendum non deve rilassarsi troppo. Dobbiamo continuare a vigilare, innanzi tutto attraverso una testimonianza esistenziale che faccia capire la convenienza anche umana di una vita positiva e poi attraverso una costante attenzione a che non si lasci passare inosservati i tentativi che la cultura radicale metterà in atto per ritornare alla carica. La battaglia, cioè, non è finita.

Peppino Zola

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