Referendum Bologna, Rodotà: «Le scuole deve farle lo Stato per principio». Non per i bambini?

Ieri il Correttore di bozze ha appreso con sgomento che perfino il suo personale babau, Romano Prodi, the king of the adult catholics, si è schierato a favore del finanziamento pubblico degli asili paritari da parte del Comune di Bologna, e che quindi al referendum cittadino del 26 maggio voterà B. B come Bologna, come Bambini e come Bozze. «Perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tantissimi anni e che, tutto sommato, ha permesso, con un modesto impiego di mezzi, di ampliare almeno un po’ il numero dei bambini ammessi alla scuola dell’infanzia?», ha scritto Prodi con una dose di buon senso talmente incredibile da lasciare tramortito il Correttore di bozze. Ma come? – si è domandato smarrito quest’ultimo – Significa che non è rimasto proprio nessuno a resistere contro «questa regalia di denaro pubblico ai privati», come l’ha definita Paolo Ferrero, leggendario segretario del Partito della Rifondazione Comunista, l’ultimo dei cubani?

Poi, per fortuna, stamattina a pagina 4 del Corriere della Sera è apparsa la lettera di Stefano Rodotà, il rubicondo ancorché leggermente impolverato ex presidente del Pds ed ex altre-cose-di-sinistra che i parlamentari grillini volevano eleggere al Quirinale in qualità «presidente di tutti», avendo egli racimolato la bellezza di quattromila e rotti like dal famoso popolo del web. Il quale Rodotà per altro già da tempo ha sposato la causa dei referendari bolognesi contro il (micro)finanziamento in questione, aderendo all’appello in compagnia di un circolino di menti lucide da strappare le mutande, tipo Margherita Hack, Dario Fo e Maurizio Landini.

Ebbene, oggi nella sua lettera al Corriere il quasi-presidente-di-tutti spiega molto bene quali sentimenti animino i promotori del referendum antiparitarie, regalando emozioni che il Correttore di bozze non provava più dai tempi gloriosi del compagno Lunaciarskij, indimenticato Commissario del Popolo all’Istruzione dell’Unione Sovietica. Sostiene Rodotàrskij che «il vero ispiratore» di tutto l’ambaradan non è lui stesso, magari lo fosse, ma è in realtà «l’articolo 33 della Costituzione, dov’è scritto che i privati possono istituire scuole “senza oneri per lo Stato”». E senza oneri, secondo Rodotà, che di mestiere fa il giurista ma legge la Costituzione come un ayatollah leggerebbe il Corano, significa senza alzare un dito. Né un quattrino né una scartoffia né niente. Neanche quando si tratti, per lo Stato stesso, di risparmiare.

Hai voglia poi a spiegargli che in realtà, nel caso delle scuole paritarie in questione, l’onere a ben vedere è tutto «sulle spalle della società civile» visto che «il Comune dà 1 milione all’anno, ricevendo però in cambio un servizio da 6 milioni» (lo dice l’economista Stefano Zamagni, non il Correttore di bozze). Inutile ribadire, come ha fatto il cardinale Angelo Bagnasco, che «quel finanziamento permette allo Stato di risparmiare». Non gliene frega un piffero, a lui, dei numeri: «Non siamo di fronte a una questione contabile». Per noi maomettani della Carta siamo piuttosto di fronte a una bestemmia, «una triste interpretazione, giuridica e politica, che ha voluto aggirare la chiara lettera della Costituzione» allo scopo di «distinguere “finanziamenti” da “oneri”, e battezzare come “pubblico” un sistema di cui i privati sono parte integrante». Come se la sacra Costituzione si dovesse adattare alla volgare realtà. O magari alle persone. Ma come osate, infedeli? Non lo sapete che è l’uomo che è fatto per il sabato? «Ci si dovrebbe un po’ vergognare».

Ugualmente si dovrebbero vergognare quelli che usano i bambini come scudi umani. Come se i bambini c’entrassero qualcosa in questa sacrosanta crociata contro i privilegi della Chiesa. Proprio non si può sentire l’argomento secondo cui con gli stessi soldi (ma forse è meglio dire spiccioli) «regalati ai privati» il Comune tirerebbe fuori manco un decimo dei posti asilo. Perché il punto è un altro, per Rodotà: «Siamo ormai così disabituati alle questioni di principio che, quando ci capitano tra i piedi, cerchiamo di liberarcene tacciandole di “ideologia”. I promotori del referendum, per fortuna di tutti, sono abituati a un altro realismo e chiedono che i princìpi siano rispettati al di là delle convenienze e che la legalità costituzionale venga onorata». È chiaro adesso? È una questione di principio. Le scuole mica si fanno per i bambini (luride convenienze). Le scuole si fanno per la legalità. E se un domani vostro figlio non troverà posto, forse dovevate adottare un articolo della Costituzione.

@Correttoredibox

Exit mobile version