Qualche osservazione sul “mondo bio” e il sig. Putin

Caro direttore, l’articolo di Biorn Lomborg (3 giugno 2022) in cui si parla della crisi alimentare emergente dovuta alla guerra in Ucraina, evidenzia ancora di più quanto aveva già evidenziato l’emergenza Covid-19, cioè l’importanza ma anche la fragilità del settore primario dell’Ue, sempre più centrato su una sostenibilità ambientale a scapito di una sostenibilità produttiva che era alla base della Politica Agricola Comune (Pac) al suo sorgere. In particolare l’agricoltura italiana è un settore gravemente in crisi, con un aumento dei costi di circa il 70 per cento per le aziende che producono cereali, ortaggi e fiori e del 57 per cento negli allevamenti da bovini da latte (fonte Crea, 24 marzo 2022). Per fare fronte a queste difficoltà contingenti – soltanto per i fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi/piantine, fitosanitari, noleggi passivi, l’impatto medio aziendale è di oltre 15.700 € di aumento che a livello medio nazionale porterebbe l’aumento dei costi al +54 per cento (fonte Crea) – che si aggiungono a quelle strutturali del sistema italiano, occorre un ripensamento delle “linee guida” che sostengono la politica agricola europea (e italiana), spesso compiacente nei confronti di una opinione pubblica formata su una narrazione bucolica staccata dalla realtà.

Sempre l’articolo di Lomborg si sofferma sull’agricoltura biologica che l’Ue vorrebbe portare entro il 2030 ad una superficie del 25% di quella totale (oggi in Italia è circa del 16.6 per cento). Ritengo che ogni metodo di coltivazione abbia il diritto di cittadinanza in un sistema agroalimentare diversificato, ma che tipo di biologico abbiamo ora in Italia? Senza voler ora entrare nella discussione sulla qualità di queste produzioni, sulle loro effettive rese e sugli agrofarmaci usati, c’è una criticità molto importante che non aiuta lo sviluppo di questo tipo di agricoltura e di conseguenza il raggiungimento dell’obiettivo di sistemi alimentari sostenibili richiesto dall’Europa (strategia Farm to Fork). Osservando le superfici a biologico vediamo, dati del 2019, che circa 610.000 ettari (oltre il 30 per cento del totale) sono destinati a prati permanenti e a terreni a riposo e quindi è lecito chiedersi quale sia stata la produzione di questi terreni. Quanti prodotti di origine zootecnica sono stati ottenuti da questi prati permanenti biologici e poi commercializzati? Se prendiamo in esame altre colture la domanda è la stessa: quanto biologico arriva al mercato finale e crea una vera filiera produttiva e remunerativa, invece di essere solo una scelta per ottenere il contributo Pac specifico? Ecco, è necessario che tutto il “mondo bio” (alcune filiere già lo fanno) agisca in una logica di mercato e di sostenibilità, non finalizzando le proprie produzioni alle scorciatoie dei vari sostegni e abbia il coraggio di non aderire al peso dominante delle opinioni correnti che propongono una immagine di realtà deformata, contraddicendo la quale si resta esclusi dal consenso sociale di fondo.

Tiziano Pozzi
(Agronomo)

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La guerra tra Russia e Ucraina – tra armi, sanzioni e grano – coinvolge ormai i paesi di mezzo mondo. I media la trasformano in un gioco collettivo sulle ragioni e torti dei contendenti, a cura di esperti e commentatori che sostengono tutto e l’esatto opposto. Siamo in democrazia, che diamine!

E poco importa se la storia si ripete: i carri armati oggi  in Ucraina non sono troppo diversi da quelli di ieri in Ungheria o in Cecoslovacchia: altri tempi, stessi metodi… La realtà per molti è noiosa, ma le idee consentono a tutti mille interpretazioni, e pazienza se ogni tanto a qualche autorevole commentatore scappa una gaffe.

Clamorose le scuse di Lucia Annunziata per un fuori onda al Tg3: a microfono rimasto aperto aveva collegato le prime immagini delle ucraine in fuga alle “migliaia di colf e badanti” già presenti anche in Italia. Donne che frequentano i salotti solo per pulirli, avevo pensato.

Ma su un punto tutti concordano: nessuno aveva previsto la resistenza degli ucraini, soprattutto agli inizi. Gli uomini al fronte e le donne costrette all’esodo coi bambini, ma tutti con la mente ed il cuore rivolti ai luoghi da cui erano partiti.

Cesare Pavese aveva scritto pezzi memorabili sull’importanza del proprio paese. Nel suo ultimo romanzo, La luna e i falò, fa dire ad un emigrante: «Un paese ci vuole. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

Ecco dove nasce la forza mostrata dagli ucraini aggrediti. Quali motivazioni possono contrapporre agli ucraini i soldati russi, mongoli, ceceni e siberiani? Può bastare l’ordine di “denazificare” la nazione nemica? Gli aggressori sono per lo più poveri cristi, che non hanno niente in comune con gli oligarchi: quelli che applaudono il regime di Mosca sperando di spartirsi un giorno le ricchezze strappate al nemico…

L’Ucraina – grande il doppio dell’Italia – non è solo un immenso granaio.

È ai primi posti per un centinaio di minerali diversi. Ferro, carbone, uranio e, soprattutto, litio e gli altri materiali critici presenti nelle batterie dei veicoli elettrici e nelle nuove tecnologie. E nel mare d’Azov, sono stati individuati enormi giacimenti di gas.

La storia si ripete, certo in forme diverse, ma al fondo resta uguale a se stessa. E si ripete perché l’uomo non ha memoria e si sorprende ad ogni “imprevisto”, che è tale perché nessuno ricorda quanto è già accaduto in passato.

Da ragazzo mi affascinava la storia di Napoleone, ma non quella che mi insegnavano a scuola, che invariabilmente partiva dalla sua ascesa: no, mi aveva avvinto un libro su un’iniziale sconfitta passata sotto silenzio, quando Napoleone – giovane ufficiale della Marina francese – aveva cercato di conquistare l’arcipelago di La Maddalena, tra Sardegna e Corsica: un pugno di isole, abitate all’epoca da una comunità di pescatori e da una piccola guarnigione della Regia Marina dei Savoia.

La conquista dell’arcipelago sembrava facile e poteva essere il trampolino per la successiva invasione della Sardegna. E poi, sulle isole erano ancora presenti pastori corsi che Parigi considerava francesi: una sorta di Donbass ante litteram da “liberare” dal giogo dei Savoia.

Così Napoleone, alla testa di una trentina di navi, s’incunea tra le isole e cannoneggia a lungo il centro abitato. Non ha previsto la fiera e testarda resistenza della gente del posto. I cannoni della guarnigione vengono trasportati di notte in vari punti delle isole, e colpiscono da ogni lato le navi francesi. Nell’oscurità divampano gli incendi e le perdite scatenano il panico negli equipaggi, che non capiscono il motivo di quella guerra, si ammutinano e costringono Napoleone alla ritirata…

Credo che Cicerone sia ancora attuale: la storia è, o dovrebbe essere, maestra di vita.

Walter Izzo

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Caro direttore, in questa tragica guerra putiniana, si parla spesso dell'”incomprensibile” guerra tra popoli cristiani (argomento che tu stesso poni in evidenza nell’intervista all’arcivescovo di Taranto, mons. Santoro). Mi sembra però che sempre più assiduamente da parte russa si disponga dei feroci soldati ceceni, indubbiamente musulmani, ben contenti di dare lezioni ai poveri civili ucraini, che per coincidenza sono cristiani ortodossi. Ceceni che per confermare il loro violento fervore non si esimono a confermarlo con il loro grido “Allah, akbar!”. Dove vanno allora a finire le “ragioni” del sig.Putin, che non perde mai occasione di farci sapere il suo sconcerto per dell’abbandono dei valori cristiani da parte dell’Occidente? E il “simpatico” Kirill (e tutti i sapientoni che qui in Occidente ne approvano le analisi teologiche) cosa ne pensano?

Carlo Candiani
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