Papa Francesco. Un anno dopo, tra presunte “aperture” e polemiche, resta decisivo «un incontro»

Solo l'«inizio» della fede, cioè «l'incontro con l'avvenimento di Cristo», può spiegare l'abbraccio e la «felice amicizia» tra due papi così diversi eppure uniti


A un anno dalla rinuncia di Benedetto XVI e dalla elezione di papa Francesco (nella foto sotto, la copertina di Tempi del marzo 2013, ndr), un punto incontrovertibile spiega l’abbraccio tra i due e la decisione di Francesco di tenere presso di sé (come ha confessato lui stesso al Corriere della Sera) il papa emerito. «Non mi stancherò di ripetere – dice Francesco nella Evangelii Gaudium – quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”. Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità».

Questo è, dopo tutto, dopo le mille e una “aperture” accreditate a Francesco dalla vena pubblicistica mondiale che ha in personaggi come Hans Küng i suoi noiosissimi cantori, il succo di un anno di pontificato.

Certo, la constatazione che c’è «un abisso tra dottrina sul matrimonio e la famiglia e la vita reale di molti cristiani», di cui ha parlato introducendo il Concistoro il cardinale Kasper, può far prevedere che la Chiesa aderisca a forme nuove di “misericordia”, quali la comunione ai divorziati risposati e chissà, magari al bon ton della via mediana (Kasper: «Io propongo una via al di là del rigorismo e del lassismo: è ovvio che la Chiesa non si può adattare soltanto allo “statu quo”, ma non di meno dobbiamo trovare una via di mezzo che era la via della morale tradizionale della Chiesa»).

Su questa via, c’è chi laicamente non concorda. Con Giuliano Ferrara ci siamo abituati alla forza delle idee e non ci dispiace che, nel vuoto devozionismo – o «nell’idealizzazione che è sempre un’aggressione» come ha ricordato Francesco prendendo distanza dai troppi suoi corifei –, l’uomo libero domandi ragioni piuttosto che trasporti sentimentali. Però, più decisivo di tutto, resta per noi quell’“inizio” e quella “vita” di cui parla Benedetto e conferma Francesco.

Chiunque sia cristiano, lo sia diventato o vi sia ritornato, conosce per esperienza cos’è un «incontro che dà alla vita un nuovo orizzonte». Qualcosa che neanche immaginano gli stipendiati di un Cristo da vaticanisti e teologi del consenso. Che neanche sfiorano i discorsi di certi cattolici, metodologici e strutturati per mantenere le mani pulite e viaggiare col freno a mano tirato. E infatti sono tutti individui solitari, parlano di un fede buona per le ricerche di Proust, tanto moderna da rendere il cristianesimo indifferente a noi moderni.

È così che la pensiamo: come ci disse una volta don Giussani, il segreto della permanenza di un avvenimento di vita quale è Cristo nella storia non è una dottrina né il suo adeguamento alle istanze del mondo. Bensì è «appartenere a una realtà umana nella quale il significato ultimo della realtà è riconosciuto come presente in un fenomeno, vale a dire in una unità tra persone». Perciò baciamo i piedi a quei padri e a quelle madri, a quei maestri e a quegli insegnanti, a quei giovani e a quei figli, che professano Cristo in un fenomeno di vita, cioè in una unità tra persone.

@LuigiAmicone

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