Padre Massimo Cenci, missionario ovunque si trovasse

Venerdì 11 maggio è morto padre Massimo Cenci, missionario del Pime, una vita tra i poveri dell'Amazzonia. Il 10 maggio ricorreva il 37esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale.

All’alba di venerdì 11 maggio è morto nel sonno, per un infarto, padre Massimo Cenci. Nato a Desio, in Brianza, sessantotto anni fa, è stato per due decenni missionario in Brasile, in terra amazzonica. Prima di essere consacrato prete nel 1975 a Milano, nel seminario del Pontificio Istituto Missioni Estere, incontrò il carisma di Comunione e Liberazione, decidendo di vivere la quotidianità della missione nella parrocchia di S. Nicola in Dergano, guidata allora da don Bruno De Biasio. In Brasile ricoprì diversi e importanti incarichi e vi rimase fino al 2001. In questi anni è stato sottosegretario alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide). Benedetto XI gli aveva da poco rinnovato l’incarico per altri cinque anni. Il 10 maggio ricorreva il 37esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale.
Pubblichiamo una lettera che don Cenci inviò al mensile internazionale
Litterae Communionis nel maggio del 1980.

Cari amici,
tra i condizionamenti del tempo presente in cui siamo chiamati a vivere l’affezione del Signore per noi e per il mondo c’è soprattutto il nostro lavoro che sta assumendo un ritmo ormai sempre più definitivo. Per ora quello che ci tiene più impegnati è il lavoro nelle strade che consiste appunto nel seguire le comunità che sono sparse dentro la foresta, lungo le due arterie che vi si inoltrano: le comunità che riusciamo a raggiungere sono solo 20, ma è già programmata entro la fine dell’anno una “spedizione” sul Rio Preto, dove pare ci siano parecchi insediamenti e un’altra ancora a circa 200 chilometri, in zone che rimangono ancora inesplorate. Seguire le comunità già esistenti significa praticamente ricominciare daccapo un lavoro di presenza per lo stato di abbandono in cui sono state lasciate: l’unico lavoro fatto, fino ad ora, è stato quello di assicurare una messa mensile e amministrare i sacramenti, il battesimo e il matrimonio in modo particolare.

La cosa che abbiamo incominciato a fare, è di visitarli uno per uno, nelle loro baracche o nei loro campi, dentro la foresta: stare con loro del tempo condividendo il grande desiderio, non ancora del tutto spento e radicato nella loro natura, di partecipare il poco che hanno, il loro amore per la vita per i bambini in modo particolare e per la natura che usano con la dolcezza che viene dalla coscienza del dono e di cui parlano con venerazione, come presi dal suo grande mistero. Ci chiedono questa compagnia con la stessa umiltà e dignità con cui parlano della loro povertà, senza mai lamentarsene ma traendo da essa sempre rinnovato spunto di speranza: vivono sparpagliati qua e là nella foresta e si muovono con estrema facilità alla ricerca spesso di un pezzo di foresta meno ingrata; è più facile incontrare quelli che possiedono un piccolo terreno e passare con loro un’intera giornata.

Abbiamo anche iniziato il nostro impegno con adolescenti e giovani, pochissimi a dire il vero: contrariamente alla situazione delle strade, il quartiere in cui è situata la nostra parrocchia centrale è un luogo piuttosto chic: zona residenziale di buona parte della media borghesia di Manaus: tutti i figli di papà hanno qui il loro club, con tutti i comfort per sopportare il caldo e per passare la gran parte del loro tempo, visti gli scarsi impegni scolastici. Una domenica abbiamo fatto una specie di due giorni per adolescenti, una ventina, insieme a una decina di giovani catechisti che credo sia tutto quello che la nostra parrocchia, da come fin qui è stata condotta, sia riuscita a mettere insieme: l’impostazione che abbiamo data è senza dubbio in contrasto con la modalità secondo la quale vengono fatti qui gli incontri: dinamica di gruppo e psicologica. A dire il vero tutti sono stanchi di queste insulse inutilità ma nessuno fiata perché questa è la moda nuova, e i brasiliani, quelli educati secondo i canoni della cultura occidentale, non brillano certo per creatività. Comunque l’incontro è riuscitissimo, sia per gli adolescenti che per i giovani: mi pareva di essere alle nostre prime uscite: il desiderio comune detto spesso con commozione era di poter continuare.

Così la nostra vita trascorre dentro la sua abituale povertà che fa desiderare l’abbraccio misericordioso del Signore e ricercare con passione il luogo dove esso si faccia più sensibilmente percepibile: la comunione con i suoi santi. Il vostro continuo ricordo, fatto ancora più forte dalla compagnia che continuate a farci, ci ha costretti a riprendere possesso dell’unico giudizio serio e vero, l’unico capace di suscitare la libertà di aderire a questo corpo che siamo. La nostra vita, abbiamo cominciato a proporla: si è subito rotto il cerchio dell’indifferenza che attanagliava tutti da anni: è appena nato un modo differente di dirci le cose, di aiutarci e di essere presenti: per esempio a mezzogiorno, ora, siamo tutti presenti a tavola: da anni non succedeva; oppure siamo in  quattro che diciamo le lodi al mattino, in tre sesta, in quattro o cinque (a secondo degli impegni) che recitiamo vesperi: tutto ciò non era mai successo, e la cosa più bella, è che tutto ciò diventa motivo di continua gratitudine al Signore e di domanda che noi possiamo essere fedeli alla nostra storia perché la Sua opera, secondo i suoi tempi e criteri, possa continuare fino al compiersi definitivo. Pregate per noi e continuate ad affidarci alla Madonna alla quale tutte le sere noi vi affidiamo.

Massimo Cenci – Brasile

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