Ostellino: Noi uomini comuni non siamo su una nave che affonda, possiamo darci una calmata?

Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, frena la voglia di vedere in Schettino un criminale da distruggere, e in De Falco un eroe da innalzare nell'alto dei cieli

“Ho ascoltato anch’io (come tutti) la telefonata fra il capitano De Falco, comandante della capitaneria di porto – quello del «vada a bordo, cazzo» – e il capitano Schettino, comandante della Costa Concordia. Ma, a differenza di (quasi) tutti, non ci ho trovato nulla, dico nulla, di commendevole. Ho avuto, piuttosto, la sensazione, poi confermata dalla lettura del testo, di un dialogo fra un uomo, frastornato dall’immane tragedia nella quale si era cacciato e dalla quale non sapeva come uscire, e un uomo, in preda a un delirio di onnipotenza, che dava sfogo al proprio ego autoritario”. Scrive così sabato sul Corriere della Sera Piero Ostellino, editorialista del quotidiano di via Solferino sulla tragedia del naufragio della nave Concordia.

Ostellino, premesso di non volere “attenuare le (eventuali) responsabilità di Schettino” e neppure di “accusare De Falco di aver fatto (male) il suo lavoro” fa un’analisi molto diversa rispetto a quella che si legge in questi giorni sul suo stesso giornale: “La «voglia di eroi» è la nostra malattia senile; cerchiamo fuori da noi stessi motivazioni morali che raramente siamo riusciti a darci nella nostra storia. «Fortunato quel paese che non ha bisogno di eroi», diceva Brecht. E che l’Italia sia un paese sfortunato è bastata una telefonata a provarlo. De Falco fa bene a rifiutare il titolo di eroe; ma, forse, non ha neppure tutti i tioli che gli si vogliono attribuire per il salvataggio dei 4.200 passeggeri”.

“All’imperativo categorico – «vada a bordo, cazzo» – ha fatto seguito, infatti, la richiesta che Schettino gli dicesse quante donne e quanti bambini ci fossero da mettere in salvo. Ora, che su una nave lunga quasi 400 metri, piegata su un fianco e che faceva acqua, nel buio, con qualche migliaio di persone in preda al panico, sarebbe stato impossibile soddisfarla non lo voglio dire. Segnalo che, quanto meno, la richiesta a me – che non sono uomo di mare – è parsa più suggerita da un irrefrenabile desiderio di comando che dal senso comune marinaro”

“Che De Falco fosse lui stesso in preda a una forte pulsione emotiva, non sapesse, probabilmente, che pesci pigliare sul momento, e che la sua reazione sia stata quella di chi è addestrato al comando, ed esige ubbidienza «senza se e senza ma», tipica di ogni militare, sono certamente un’attenuante per il modo in cui si è comportato. Immagino che lui stesso ci stia riflettendo. Ma noi, media, uomini qualunque, opinione pubblica, non siamo su una nave che affonda, né in una capitaneria di porto che la deve salvare. Siamo tranquillamente seduti in poltrona,. È troppo raccomandare: «Diamoci una calmata?».

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