«Non si può separare Cristo dal lavoro umano». Storia della croce di Nowa Huta

Sono passati cinquant’anni, ma l’episodio della croce di Nowa Huta, difesa strenuamente dai fedeli, è ancora vivo in Polonia, e a fine aprile ne è stata celebrata la memoria. Nowa Huta, «la nuova acciaieria»: il grande quartiere di Cracovia sorge nei primi anni ’50 come simbolo della costruzione del socialismo, e per le migliaia di lavoratori che qui vengono trasferiti prevede appartamenti, ospedali, scuole e servizi. Manca però una chiesa, esclusa intenzionalmente dal progetto.
Tuttavia nel ’56, durante il «disgelo», molti cittadini chiedono alle autorità di poter avere un edificio di culto, ed è lo stesso primo segretario Gomułka a confermare che, da parte del Partito, non c’è alcun problema. Scelto il luogo, si costituisce un comitato per studiare il progetto, i fedeli cominciano a raccogliere offerte e all’incrocio tra via Marx e via Majakovskij viene eretta una croce lignea alta 8 metri.
Passano tre anni e il Partito cambia idea, rimangiandosi la promessa: non ci sarà più alcuna chiesa, al suo posto sorgerà la scuola elementare nr. 87, e i 2 milioni di złoty raccolti dalle offerte vengono confiscati. Karol Wojtyła, allora vescovo suffraganeo di Cracovia, nell’aprile 1960 si rivolge alle autorità facendo presente che quella croce è ormai un oggetto di culto e la sua rimozione costituirebbe una violazione del diritto canonico. Ma i comunisti sono decisi a usare la forza.

La mattina del 27 aprile 1960 tra i fedeli di Nowa Huta si diffonde la notizia: «Vengono a rimuovere la croce». Si radunano i primi gruppi di cittadini decisi a difenderla, dagli scontri verbali si passa ai tafferugli. Verso le 11 sono già un migliaio i cittadini attorno alla croce, intonano inni patriottici e religiosi, mentre il quartiere è presidiato dalla milizia e dagli zomo, le forze antisommossa. Verso le 14 il numero dei difensori della croce è raddoppiato, e la polizia decide di intervenire. È una pessima idea, perché si trova ad affrontare gli operai del primo turno, appena usciti dalle fabbriche e pronti a difendere familiari e amici sotto attacco. Scoppia una vera e propria guerriglia urbana: lacrimogeni da una parte, lanci di pietre e mattoni dall’altra. I cittadini erigono barricate, le donne gettano acqua bollente sui poliziotti, arrivano i blindati, viene dato l’ordine di sparare. Staccati i telefoni, tolta la corrente e fermati i mezzi pubblici, Nowa Huta è sotto assedio. Alcuni cittadini assaltano la sede del Consiglio popolare e ne incendiano i locali, altri si organizzano per portare soccorso ai manifestanti, offrendo assistenza sanitaria e nascondendoli durante i rastrellamenti. Alle 19.50 il colonnello Żmundziński allerta tutti i comandi della polizia di Cracovia, si mobilita l’esercito, da Varsavia arrivano alti papaveri. Solo verso le 23 gli zomo riprendono il controllo della situazione, riuscendo a strappare a colpi di manganello gli ultimi difensori aggrappati alla croce.

Non si è mai saputo con esattezza il numero dei morti e dei feriti, e nei giorni successivi vengono arrestate circa 500 persone, 87 delle quali finiscono in carcere, altre sono licenziate o condannate a pene pecuniarie. Silenzio assoluto sui media, solo la stampa locale ne accenna parlando di scontri tra «gruppi di teppisti», «sopravvivenze della feccia antisociale», secondo l’espressione di Gomułka in visita a Nowa Huta 15 giorni dopo.
Wojtyła scrive un appello ai fedeli in cui cerca da un lato di placare gli animi, ma dall’altro sostiene con forza che la croce deve rimanere sul posto fino a quando non verrà costruita una chiesa. Il suo testo però non arriverà nelle chiese perché glielo sequestrano grazie alla soffiata di don Mieczysław Satora. Noto dal ’47 come informatore della polizia politica, da cui riceve denaro e regali, don Satora riuscirà anche a infiltrarsi nella curia di Cracovia da dove raccoglierà informazioni su Wojtyła.

Solo nel ’67 le autorità comuniste permettono la costruzione di un luogo di culto, ma in un altro quartiere di Nowa Huta: sorgerà l’«Arca», la chiesa tanto voluta da Wojtyła che, nonostante le difficoltà e gli atti di vandalismo, viene consacrata nel ’77. Durante il suo primo viaggio in Polonia da papa nel giugno 1979, egli dirà ai fedeli di Nowa Huta: «Non si può separare la croce dal lavoro umano. Non si può separare Cristo dal lavoro umano. E questo è stato confermato qui a Nowa Huta. E questo è stato il principio della nuova evangelizzazione, agli inizi del nuovo millennio del cristianesimo in Polonia. Questo nuovo inizio l’abbiamo vissuto insieme e l’ho portato con me, da Cracovia a Roma, come una reliquia. Il cristianesimo e la Chiesa non hanno paura del mondo del lavoro».

Negli anni ’90 anche nei pressi della croce, vicino alla scuola, viene finalmente eretta una chiesina dedicata al Sacro Cuore. Anche la lunga via Majakovskij è diventata «Dei difensori della croce».

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