L’esercito nigeriano ha organizzato l’aborto di massa dei figli di Boko Haram

I militari hanno posto fine brutalmente e con l'inganno a oltre 10.000 gravidanze di ragazzine stuprate dagli jihadisti per evitare la nascita di «bastardi ribelli». L'inchiesta della Reuters (e una postilla sull'inevitabile omelia abortista)

Donne nigeriane salvate da Boko Haram e condotte dai militari a Maiduguri (foto Ansa)

«È proprio come disinfettare la società». «Eseguiamo questo tipo di procedura per salvare le donne dallo stigma o dai problemi che sorgeranno in futuro con un bambino di Boko Haram». «Uno dei soldati mi ha picchiato, dicendo che mio figlio era un bastardo». «Ad alcune donne venivano somministrate delle pillole, ad altre venivano aperte le cosce e infilato dentro un qualcosa da torcere, come quegli arnesi che usano i macellai, come le forbici, lo spingevano dentro e torcevano. Le sentivi urlare mentre lo muovevano dentro di loro».

«Quella donna era più incinta di tutte noi, quasi sei o sette mesi. Stava piangendo, urlando, contorcendosi», «finché ha smesso di respirare», «scavata una buca, ci hanno buttato della sabbia e l’hanno seppellita». «So che è un peccato contro l’umanità e contro Allah. Non è permesso nella mia religione. Mi sento così male per questo. Ma non c’è niente che io possa fare, eseguo gli ordini».

La terribile inchiesta della Reuters sull’aborto di massa in Nigeria

Quelli che avete letto sono solo alcuni stralci dalle dozzine di testimonianze rese da medici, donne e soldati nigeriani ai giornalisti della Reuters autori della sconvolgente inchiesta “The Abortion Assault”, l’assalto abortista, quello perpetrato dal 2013 dall’esercito nigeriano per porre fine ad almeno diecimila gravidanze di donne, ragazze (la più piccola aveva solo 12 anni) rapite e stuprate dai terroristi di Boko Haram.

Un programma «segreto, sistematico e illegale» condotto negli ultimi dieci anni nel nord-est del paese da parte dei militari fino a novembre dello scorso anno. L’operazione è stata organizzata nei minimi dettagli, col trasporto delle ex prigioniere incinte degli jihadisti a bordo di camion e convogli che le hanno scortate verso Maiduguri: cinque le strutture militari e cinque gli ospedali civili coinvolti secondo la documentazione in possesso di Reuters, copie di documenti militari e cartelle cliniche civili che descrivono o registrano migliaia di procedure di aborto. Procedure terribili, a volte rivelatesi fatali, confermate dalle interviste di 33 donne e ragazze, cinque operatori sanitari civili e nove membri del personale di sicurezza coinvolti nel programma, inclusi soldati e dipendenti del governo come le guardie armate della scorta.

L’ira dell’esercito, «In Nigeria rispettiamo donne e bambini»

«Non in Nigeria, non in Nigeria», ha commentato il maggiore generale Christopher Musa, che guida la campagna militare contro i terroristi nel nord-est, «qui tutti rispettano la vita. Rispettiamo le famiglie. Rispettiamo donne e bambini. Rispettiamo ogni anima vivente». Esercito e governo negano le accuse, il presidente e i leader del governo e dell’esercito della Nigeria non hanno risposto alle domande dell’agenzia, l’Onu ha ordinato un’indagine.
Ma i resoconti di fonti e testimoni della Reuters restano agghiaccianti. E rendono ancora più surreali certe riprese della stampa.

Al centro dell’inchiesta ci sono i racconti di ragazze come Fati, che quando si risvegliò in un campo militare si sentì «felice come mai nella mia vita». Era stata rapita anni prima nello stato del Borno da Boko Haram, tenuta in ostaggio con molte altre donne in una base su un’isoletta del lago Ciad dove era stata costretta a prendere un nuovo marito ogni volta che il precedente non tornava dalla guerra, picchiata e stuprata ripetutamente. Era incinta di quattro mesi quando i soldati nigeriani attaccarono i terroristi. Svenuta dalla paura mentre infuriava il combattimento Fati si era risvegliata «felice e grata ai soldati che l’avevano salvata». Ma la gratitudine durò poco.

Fati, salvata dai soldati e costretta all’aborto tra gli scarafaggi

Una settimana dopo si trovava su una stuoia circondata da zanzare e scarafaggi nel centro di detenzione di Giwa Barracks a Maiduguri: qui venne sottoposta a misteriose iniezioni e ingestione di pillole. Finché iniziò a sentire dolori lancinanti al ventre, la tunica bagnata di sangue nero. Erano in tante a contorcersi e urlare, capì solo allora che i soldati avevano ucciso i loro bambini, «se lo direte a qualcuno verrete picchiate», le avevano minacciate i soldati.

Raccontano i militari e le guardie intervistate sotto anonimato da Reuters che le donne venivano ingannate o costrette con la forza ad abortire. Alle prime veniva detto che pillole e iniezioni servivano a combattere la malaria, le seconde legate al letto e drogate. Quattro soldati e due agenti di sicurezza hanno raccontato di aver assistito alla morte di molte di loro, o di avere seppellito i loro cadaveri. Quattro degli operatori sanitari intervistati hanno assicurato che “il programma” era per il bene delle donne e di tutti i bambini che avrebbero dovuto affrontare lo stigma di essere associati a un padre di Boko Haram.

Uccidere nel ventre delle donne i figli di Boko Haram

Secondo l’idea diffusa tra l’esercito e tra le famiglie delle ragazze scappate o liberate dalla prigionia (Tempi lo ha più volte raccontato) i figli degli insorti sono infatti «predestinati, dal sangue nelle loro vene, a prendere un giorno le armi contro il governo e la società nigeriani», «il programma era necessario per distruggere i ribelli prima che potessero nascere». Otto fonti hanno spiegato che l’operazione veniva condotta in clandestinità e spesso in segreto anche dai colleghi degli ospedali coinvolti, le donne confinate in reparti e registri separati.

«I soldati hanno raccontato di aver ricevuto ordini dai diretti superiori su come gestire i trasporti per l’aborto, come mantenere il programma nascosto e dove seppellire eventuali vittime. Gli operatori sanitari degli ospedali civili hanno affermato che gli di eseguire aborti provenivano da ufficiali dell’esercito». Le donne liberate dai terroristi e poi trasportate nei centri per l’aborto raccontano di essere state costrette a fornire campioni di sangue o urina prima di ricevere con l’inganno iniezioni e pillole (solo una afferma di avere dato il consenso all’aborto, molte altre affermano che non lo avrebbero mai dato, «quel bambino non aveva fatto nulla di male»): misoprostolo e mifepristone, ma molto spesso anche ossitocina. Sono stati eseguiti anche aborti chirurgici con aspirazione manuale, dilatazione e curettage. Le testimonianze di ragazze ignare di cosa sarebbe accaduto una volta legate a letti e tavolacci sono impressionanti.

Diecimila aborti e donne morte dissanguate come Hafsat

Il numero di aborti, diecimila, è sottostimato: 5.200 aborti sono quelli firmati da ufficiali solo tra il 2017 e il 2019 in una base militare fuori Maiduguri, 3.900 in un’altra, confermati da chi li ha eseguiti, le 33 donne intervistate asseriscono di aver fatto parte di gruppi di 50/60 donne condotte ad abortire, oltre 15mila quelle trasportate sui convogli a Maiduguri. Tra di loro, Hafsat, 14 anni, un abito turchese, morta dissanguata tra atrici dolori dopo che un soldato le aveva iniettato l’ossitocina, «non posso dimenticare il suo nome», ha raccontato, pentito come molti altri di aver partecipato all’operazione aborto dell’esercito. Tre fonti assicurano di avere assistito a centinaia di aborti tra minorenni. Una delle donne intervistate aveva all’epoca solo 13 anni. «Questo bambino è già malato dal concepimento, la gente dirà sempre di lui: “’È un terrorista, è un terrorista”», si sono giustificati i medici.

In Nigeria l’aborto è sempre illegale, tranne nel caso in cui la madre sia in pericolo di vita. Per il resto è un reato punito col carcere fino a14 anni. Causare la morte di una donna facendola abortire senza il suo consenso è un reato punito con l’ergastolo. Secondo il codice di condotta dell’esercito nigeriano inoltre, «in nessun caso le donne incinte dovrebbero essere maltrattate o uccise». Se questo spiega in parte l’omertà sull’aborto forzato di massa perpetrato in Nigeria, di certo non giustifica l’ossessione abortista di chi, come Fanpage, davanti alle storie di Fati o Hafsat, davanti alla notizia di diecimila interruzioni di gravidanza perpetrate dai soldati su ragazzine rapite e stuprate dai terroristi, ha avuto il coraggio di scrivere:

«Se le scoperte di Reuters venissero confermate, si tratterebbe di una delle più gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani portate avanti da un governo negli ultimi anni, ma soprattutto svelerebbe l’ipocrisia delle politiche antiabortive della Nigeria e di molti altri Paesi che ancora vietano alle donne di interrompere la gravidanza liberamente e in sicurezza. Secondo il Guttmacher Institute, la Nigeria ha infatti uno dei tassi di abortività più alti al mondo: 50,6 interruzioni di gravidanza ogni mille donne (in Italia è del 5,4). Il problema è che il 63,4% di questi aborti si svolge in maniera non sicura, causando ogni anno 500mila complicazioni, di cui nemmeno la metà viene curata. Circa il 10% dei casi mortalità materna è causato da aborti non sicuri e le ultime ricerche dimostrano che il ricorso fai-da-te a farmaci con effetti abortivi è sempre più diffuso, specie tra le adolescenti. Questa crisi sanitaria si potrebbe facilmente evitare eliminando la legge che vieta l’aborto, istituita dal governo coloniale inglese più di centocinquant’anni fa. Tutti gli studi confermano infatti che il divieto di aborto non influisce sul numero degli aborti, ma li rende più pericolosi per la salute delle donne».

L’ossessione abortista

Sì, è solo Fanpage, ma non è molto diverso, per quanto più disgustosamente spudorato, di quanto ha aggiunto Reuters in chiusura della sua corposa inchiesta: un capitolo in difesa dell’aborto che «se eseguito secondo linee guida cliniche ampiamente accettate, è considerato una procedura medica sicura, secondo gli specialisti del settore» e in difesa di misoprostolo e mifepristone, «usati comunemente e in modo sicuro in tutto il mondo».

Secondo i giornalisti i problemi in Nigeria sono stati tre: l’assenza di medici specialistici, di osservazione in strutture sanitarie dedicate e della firma di un «consenso informato», «ciò richiede che un operatore sanitario spieghi una procedura e i suoi rischi prima di chiedere il permesso di eseguirla. Il consenso informato è un principio riconosciuto a livello internazionale in medicina inteso a proteggere l’autonomia e il benessere delle paziente». Il “consenso informato” in Nigeria. Perfino davanti al massacro dei corpi di diecimila donne in una terra insanguinata dalle guerre e dai terroristi, una terra in cui i massacri e le persecuzioni sono all’ordine del giorno, il problema delle testate civili resta questo: la difesa del civile aborto.

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