Non c’è nessun Pnrr per le culle vuote

A ogni report dell'Istat si parla di emergenza demografica, poi più nulla fino al prossimo report. Nel mezzo, non si fa nulla. Ma così l'Italia «si avvia a morire»

Commentando ieri i dati Istat, i giornali italiani hanno dato conto del sempre più freddo inverno demografico italiano. La titolazione scelta da Repubblica rende in poche righe l’idea: “Italiani figli unici. Calo di 20 mila nati. E l’età del parto sale a 31,4 anni. L’Istat: nel 2021 avremo meno di 400 mila bebè. Abitanti sotto i 59 milioni. Pesa la pandemia. In media 1,17 figli per donna, al netto degli stranieri”.

È una litania che conosciamo e che, periodicamente, ad ogni certificazione Istat, aggiorniamo con dati sempre più preoccupanti salvo, ogni volta, ri-nascondere il problema fino al rapporto successivo.

Meno figli con la pandemia

La “novità” quest’anno era misurare l’incidenza del Covid sulle nascite nella speranza – in verità non si sa da quale pensiero suffragata – che il lockdown avesse portato gli italiani a mettere al mondo più figli (sì, avete capito bene. Il ragionamento era: siccome stanno più a casa, copuleranno di più, vabbè).

Infatti non è andata così e i numeri sono peggiorati. Come spiegato più di un anno fa a Tempi e ieri a Repubblica, dal presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo: «Chi voleva un figlio, con lo scoppio della pandemia, è come se avesse spostato in avanti il calendario. Infatti, già il dato di gennaio ci dice che, rispetto al gennaio precedente, c’è stato il maggior calo di nascite di sempre: cinquemila in meno».

Cause note e cause nascoste

Come sempre, si è parlato delle cause di questo declino e si è quindi tornato a discutere delle difficoltà delle madri di conciliare lavoro e vita familiare, degli asili nido, degli scarsi sostegni economici per chi mette al mondo figli.

Tutte cose giuste, di cui si parla da anni e per cui si fa poco, cui andrebbero aggiunte “altre” cause che invece faticano a essere messe sotto la lente d’ingrandimento (i contraccettivi, l’aborto, una concezione della famiglia e del matrimonio non più intesi come priorità).

L’Italia si avvia a morire

Il risultato è quello spiegato dal demografo Antonio Golini ieri al Foglio: «L’Italia si avvia a morire, perché evidentemente il numero ridottissimo di figli non sostituisce i genitori e ci sono sempre meno donne in età fertile. Ma ci sono moltissimi africani. E ce ne saranno sempre di più, il Mediterraneo è un mare piccolo e si attraversa facilmente e abbiamo necessità di manodopera».

Ancora più caustico è stato l’economista Matteo Rizzolli su Domani che ha ben tratteggiato le prospettive del declino italiano: «Il 2020 si è concluso con un bilancio di sette morti ogni quattro nati, con un saldo negativo totale di 342 mila unità. Secondo l’Istat entro la data nella quale la popolazione globale dovrebbe toccare il suo picco l’Italia avrà perso quasi dieci milioni di residenti».

Silver economy

Se questa è la prospettiva, che fare? Nell’intervista a Repubblica, Blangiardo ha voluto vedere il lato positivo della vicenda, prefigurando per il nostro Paese un futuro da leader mondiali nella “silver economy” (produzione di protesi acustiche, crociere con assistenza, telefonini con grandi numeri) ed «esportando la nostra esperienza dove la popolazione è ancora giovane. La Cina, ad esempio, è un mercato molto interessante».

Bilancio negativo

Chissà. Rizzolli la vede in maniera diversa: «È difficile immaginare una crescita del Pil solida a fronte di una contrazione della popolazione, anche potendo disporre del miglior Pnrr immaginabile».

I settori economici investiti dal calo demografico saranno moltissimi: si va dal valore degli immobili (che lo mantengono a patto vi sia domanda abitativa), al problema del debito pubblico (chi lo pagherà?), al mantenimento delle infrastrutture.

Conclude amaro Rizzolli: «Questo era l’anno giusto per affrontare seriamente la questione, avendo a disposizione le risorse del Pnrr. Il bilancio è invece largamente negativo».

Foto Unsplash

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