I nemici del matrimonio: routine e distrazione

Morto tragicamente salvando la sua famiglia dal disastro dell’affondamento di una nave da guerra distrutta.

È la lapide di Royal Tenenbaum, con cui si chiude l’omonimo, spassoso film. La nave in questione è il suo matrimonio, una solida nave da guerra che può affrontare qualunque prova, come ogni matrimonio, ma che può anche affondare. Del resto un’avventura non può essere vera se non mette in conto il fallimento. Sempre in agguato. Più il rischio è grande, più l’avventura è bella, memorabile.
Quasi sempre il matrimonio affonda non per le vicende esterne, le tempeste, gli scogli sommersi. Ma per debolezza interna. Senza accorgersene, silenziosamente, piano piano, si creano delle fessure che imbarcano acqua, goccia dopo goccia, giorno dopo giorno, fino ad appesantire lo scafo. A quel punto, quando tutto sembra ancora perfetto, basta una impercettibile bava di vento per provocare l’inevitabile affondamento.
Il modo migliore per odiare una cosa grande è bella è di viverla supinamente, di subirla, in una routine che nel tempo genera nausea. È come una pianta, se non le dedichi quelle semplici, quotidiane cure, prima o poi muore: da un lussureggiante arbusto fiorito ad un penoso fascio di rami secchi e malati.
Così basta dare per scontato l’amore che ha unito gli sposi, dedicarsi eroicamente agli impegni della vita fino a farsene assorbire totalmente, la casa, il lavoro, i figli, tutto fatto con esemplare dedizione: “Tanto so che ti amo, tanto so che tu mi ami”. E andare avanti così per giorni, mesi, anni. Trascinando una realtà ormai agonizzante, senza accorgersene.

Se la barca affonda è perché ci sono due coniugi, non ne basta uno, che hanno messo i remi in barca. La questione fondamentale non è il matrimonio ma la vita, cosa hai veramente a cuore. Dopo una giornata intensa torni dal lavoro esausto, come sempre, e lì, varcata la soglia di casa, decidi che nulla e nessuno ti deve rompere le scatole. Non lo fai per odio di tua moglie, ma perché è scontato che è tua moglie. E comunque in quel momento non te ne frega nulla. Parli a monosillabi, magari, se lei petulante lo chiede, la baci come se dovessi grattarti una verruca. “Cara scusami, sono esausto”. Poi ti butti come un sacco di patate sul divano e fai zapping fino a mezzanotte. E lì, inconsapevole, nutri il seme della devastazione. Vedi il nuovo SUV carrozzato come le macchinine della giostra e quello, nelle tue prossime settimane diventa l’oggetto catalizzatore dei tuoi desideri, delle energie della tua vita: “Cavolo, che bello! Lo voglio!”. Intanto tua moglie, stirando distrattamente, si è vista la pubblicità delle merendine: una giovane coppia bella come due fotomodelli, in una casa da nababbi si svegliano la mattina come appena usciti dall’estetista e con sorrisi da Biancaneve, si pappano le merendine come se fossero in paradiso. Poi la mattina seguente vede il marito nel letto, con la pancia, maleodorante che russa come un facocero, e lo guarda con disprezzo dopo che non gli ha voluto comprare il mobiletto per il ferro da stiro (deve comprare il SUV!). E tutto è ormai compiuto, nascono giudizi cinici, senza dolore, piuttosto risentimento, che calano come una mannaia: “Non mi sento realizzato/realizzata”. “Non mi ami più”. “Non provo più nulla per te”. Così, piuttosto che rinunciare ad aver ragione a tutti i costi, ti butti in un vicolo cieco fatto di infelicità.
E se in quel momento un barattolo ti guarda con occhi dolci, è fatta: ti innamori.
L’individualismo esaltato che domina il pensiero comune è il peggior nemico della nostra felicità e quindi della famiglia: una bella batteria di padreterni i quali, per star bene, o meglio, per sopravvivere, vivono ciascuno sul suo piedistallo (che ognuno considera l’unico esistente) al centro di un universo dentro il quale non può esistere nulla se non ciò che si agita dentro la propria scatola cranica.

Per evitare che una nave affondi occorre una rotta sicura, e il marinaio esperto controlla la direzione spesso, per raddrizzare con impercettibili colpi di timone una direzione sbagliata che puntava alla rovina.
Occorre una rotta sicura, un punto nel cielo, una stella che la guidi, un ideale che la esalti. Occorre che il cuore sia vivo, che il mistero della vita sia vissuto con animo grande, con passione. Non bastano piccole voglie che finiscono solo per arenarla.
Nella distrazione si è compiuto il delitto capitale: l’innamoramento che ha unito due persone è stato archiviato come un relitto del passato, un’illusione, magari una presa in giro. L’amore cede il posto a sentimenti tiepidi, alla freddezza, poi l’estraneità, infine il disprezzo, non di rado anche l’odio.
Perché? Perché non desiderare che quel momento potesse essere ancora vivo, magari nel dolore piangendo. Che ne è stato del nostro amore?
Tutto si decide nella nostra libertà, nascostamente, segretamente: rassegnarsi cinicamente o guardarsi negli occhi, gli stessi occhi che ti hanno abbracciato quel giorno, e chiedere, pregare piangendo perché Colui cui nulla è impossibile doni il miracolo di non far travolgere la bellezza, l’amore, le nostre vite dalla fragilità, dalla nostra miseria, dal nulla. Il matrimonio può nutrirsi solo di questo miracolo mendicato, è la sua natura, è un sacramento. Senza è destinato a morire. Qui non stiamo distillando elevate strategie psicologiche, vogliamo guardare la vita, il nostro amore, da uomini, fino in fondo, senza rinunciare a quel desiderio che ci fa uomini, quell’inquietudine che richiama il nostro destino a qualcosa di infinitamente grande per il quale siamo fatti: il misterio eterno dell’esser nostro. Un mistero che l’amore tra uomo e donna esalta fino a trapassare il cielo, di schianto. Un mistero, il matrimonio, toccato da Dio, da un Dio follemente innamorato di noi, fino a farsi ammazzare. Ma lo hai dimenticato, hai dimenticato colei che amavi, e non ti sei accorto che hai dimenticato anche te stesso.
Tutto il resto è noia.
Le inevitabili tempeste che arriveranno sono l’occasione preziosa per ridare vita a ciò che stava morendo. Ma occorre accettare la sfida, scendere dal piedistallo.

È vero, in casi estremi si rende necessaria la separazione, la Chiesa l’ha sempre accettata. Non si rinnega la promessa fatta, dolorosamente, senza intessere nuovi legami, fedele nel distacco alla persona sposata, si vive lontani. Un coniuge che diventa violento, alcolizzato, succube del vizio del gioco, in situazioni che minacciano i figli. Ma è una decisione grave che non è bene prendere da soli, anche se spesso è inevitabile.
In quel caso la nave può affondare, ma almeno l’equipaggio si salva, continuando il viaggio su una scialuppa. Anche il coniuge più cattivo e perverso non potrà mai trascinarti all’inferno, se non lo vuoi. Piuttosto sarai tu, con la tua fedeltà, anche sofferta, dolorosa, a salvarlo. Non dimentichiamo Ester e Alessandro.

Foto da Shutterstock

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