Nascere Royal Baby oppure in Nepal

Pubblichiamo la rubrica di Annalisa Teggi contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

«Buongiorno principessa!», esultava contento Benigni. Ed è il saluto che si merita ogni neonata, sebbene a te questo titolo spetti di diritto, perché sei nipote di Sua Maestà Elisabetta d’Inghilterra. E, allora, benvenuta principessa, e benvenuta la notizia della tua nascita che ha risollevato certi miei pensieri tristi.

Cara principessa, appena noi adulti abbiamo a che fare con voi neonati, il mondo delle nostre parole si rimpicciolisce: manine e piedini, lettino e vestitini. Forse ci pare di abbracciarvi anche così, preservandovi ancora per un po’ da un mondo a grandezza naturale. In realtà, la nascita è già di per sé un evento enorme, fuori scala rispetto a ogni unità di misura: istantaneamente il mondo intero si catapulta su voi piccini, con un tripudio di sensazioni sconosciute. Che trambusto dev’essere stato per ciascuno di noi quel momento, se solo ce lo ricordassimo.

Eppure, talvolta, oltre a questo formidabile impatto con la realtà, un bimbo si trova purtroppo a fare i conti con cose troppo grandi per lui. Ad esempio, su di te pesano già grandi attese, anche se sei solo una Royal Baby impegnata tra pianti, pappa e nanna come tutti. Devi, però, sapere che due tuoi coetanei hanno dominato la cronaca, poco prima del tuo arrivo, e sono stati protagonisti di storie che assomigliano a quelle fiabe in cui c’è un piccolo eroe e un gigante cattivo.

Sonit Awal è poco più grande di te, ma a soli quattro mesi e mezzo ha vissuto sulla sua pelle il tremendo terremoto che ha messo in ginocchio il Nepal. Migliaia e migliaia di vittime; è stato un vero e proprio gigante sotterraneo che ha alzato il suo grido di morte. E Sonit è rimasto 22 ore sotto le macerie a strillare, finché l’hanno estratto vivo. I soccorritori lo hanno sollevato in aria, tutto impolverato e con gli occhi chiusi e i pugni stretti: lui è il miracolo del Nepal.

Il piccolo Jrah, invece, ha solo poche settimane di vita e lo si vede in una foto in cui dorme sereno, avvolto in una graziosa tutina e con una cuffietta gialla, decorata con una stellina bianca. Molto simile a te, quando sei uscita dalla clinica in braccio a mamma Kate. Però in quella foto, sopra la testa di Jrah, ci sono anche una bomba a mano e una pistola carica, perché i terroristi islamici lo hanno scelto per farsi propaganda, e hanno scritto vicino al suo certificato di nascita: «Questo bambino sarà un pericolo per tutti voi».

Ecco, io ero commossa e amareggiata, vedendo questi piccini tra le grinfie di mostri così più grandi di loro. E il mostro umano ha qualcosa di ancora più sinistro di quello geologico. Poi ho visto il corteo di gente simpatica e assurda, che si è raccolta fuori dall’ospedale, in attesa di veder nascere una principessa. Tu. E quella scena, per quanto non mi abbia pacificato col resto, mi ha suggerito qualcosa di incoraggiante. Ho visto il banditore ufficiale srotolare la pergamena e declamare a gran voce l’annuncio ufficiale della tua nascita con tanto di scampanellio. E così, mi sono ricordata da che parte stiamo nelle fiabe (e nella vita). A testa alta e schiena dritta, siamo i banditori: annunciamo la vita come un regalo regale. Anche Dickens lo fece, proclamò a gran voce il pianto di un bimbo venuto alla luce nella miseria, Oliver Twist; e udendolo, il gigante della sopraffazione tremò.

@AlisaTeggi

Foto Ansa/Ap

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