Quanto miope entusiasmo per la mancata vittoria dei conservatori in Spagna

Rassegna ragionata dal web su: Elly Schlein e la sua analisi a base di slogan del voto spagnolo, la rozzezza di Vox punita dagli elettori, la disgregazione del paese cavalcata dal Psoe

L’esultanza del leader socialista e premier spagnolo Pedro Sánchez per il risultato delle elezioni di domenica 24 luglio 2023 (foto Ansa)

Su Open Felice Florio scrive: «Chi invece si rallegra guardando a ovest, oggi, è Elly Schlein. La segretaria del Partito democratico, pubblicando su Instagram una foto che la ritrae assieme a Pedro Sánchez, scrive: “I risultati delle elezioni premiano il coraggio di Sánchez e della sua squadra e ribaltano un esito che sembrava già scritto. Il Partito socialista riesce a tenere bene e guadagna due seggi dalle ultime elezioni. Bene anche il risultato di Sumar, sotto la guida di Yolanda Díaz”. Poi, passa all’attacco della destra spagnola: “I veri sconfitti da un verdetto implacabile sono i nazionalisti di estrema destra di Vox, che perdono quasi la metà dei parlamentari. Cresce molto il Partito popolare che ottiene i maggiori consensi, ma fallisce nel suo progetto di ottenere la maggioranza con la scomoda alleanza coi nazionalisti di Vox, visto il loro flop. È la dimostrazione che l’onda nera si può fermare quando non si punta ad alimentare le paure ma a risolvere i problemi concreti delle persone: aumentando il salario minimo e limitando i contratti a termine, affrontando sul serio l’emergenza climatica, limitando gli effetti del caro energia e dell’inflazione sulle imprese e sulle fasce più povere”».

La povera Schlein non sa bene come e dove guidare un Pd che ha conquistato ma non sa governare, e, essenzialmente subalterna ai media istericamente antimeloniani, cerca di sopperire a una sua evidente mancanza di cultura politica con l’appello alle emozioni. Dovrebbe farsi dare da qualche vecchio comunista qualche lezione su che cos’è “l’analisi articolata”, sul come si debba sempre accompagnare la propaganda con una consapevolezza concreta della realtà che si sta vivendo. Anche quella spagnola.

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Su Strisciarossa Marco Calamia scrive: «Sul giudizio complessivo dei risultati elettorali in Spagna non ci sono pareri discordi: contro molti pronostici ha vinto Pedro Sánchez, attuale primo ministro nonché segretario generale del Psoe (Partito socialista operaio spagnolo), che ha raggiunto il 31,7 per cento dei voti, un risultato molto vicino al 32 per cento ottenuto da Alberto Feijóo, segretario del Pp (Partito popolare). Feijóo ha superato Sánchez nel conteggio finale dei voti ma non è riuscito a costituire una coalizione di destra convincente. Gli elettori non hanno apprezzato l’alleanza tra il Pp e Vox, che esce molto indebolito dalle urne. Così ora tocca di nuovo a Sánchez tentare di governare attraverso una riedizione dell’ampia coalizione di forze eterogenee che lo hanno sostenuto per quattro anni, comprese le espressioni parlamentari del nazionalismo catalano e di quello basco che pretendono vistose contropartite in linea con le riforme realizzate o avviate in questi ultimi anni dal governo di sinistra. Un interrogativo di fondo si pone a questo punto: è realistico aspettarsi da Pedro Sánchez un dialogo finalizzato ad obiettivi concreti e precisi con i rappresentanti dei separatismi basco e catalano senza mettere in discussione i fragili equilibri politici e parlamentari del dopo 23 luglio? Visti i precedenti, come reagiranno, in particolare, il Pp e Vox ad una ipotesi dirompente di questo genere?».

Ecco un esempio di analisi intelligente e quindi non trionfalistica del voto spagnolo. Noi italiani siamo particolarmente adatti a comprendere profondamente e non superficialmente quel che avviene tra Madrid e Barcellona. Dal 1992-1994 e poi con ancora maggiore efficacia dal 2008-2011 abbiamo vissuto una strategia di disgregazione della nostra politica ispirata da un asse franco-tedesco che puntava a una semplificazione della governance dell’Unione, che vede un’analogia tra le nostre vicende e quelle per esempio dell’indipendentismo catalano, e una somiglianza tra una sinistra che cavalca la disgregazione e una destra che cerca, non di rado rozzamente, un’alternativa. Una situazione complessa che è bene non liquidare con qualche slogan.

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Su Linkiesta Francesco Cundari scrive: «Forse sarebbe bene che Giorgia Meloni, che tanto si era spesa per il suo amico “Santi” (il leader sovranista Santiago Abascal), e proprio in quella chiave (“Yo soy Giorgia”, con tutto quel che segue), riaprisse il suo famoso quadernino e ricominciasse a prendere appunti: il Medioevo non paga. Del resto, anche la parabola del sovranismo spagnolo sembra confermare una regola che la nostra presidente del Consiglio farebbe bene a non dimenticare: è più facile sconfiggere il Pd che la modernità».

Cundari con intelligenza descrive la rozzezza della destra di Vox che risponde insieme alla tendenziale disgregazione promossa dalla sinistra e agli effetti non governati della globalizzazione, con istinti anti modernità che non appaiono accettabili dalla maggioranza dell’elettorato, come in parte è avvenuto anche negli Stati Uniti. Cundari ha ragione nella sostanza, ma i processi politici profondi raramente avvengono in forme perfettamente ordinate, non sempre le nuove tendenze politiche nascono “imparate”.

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Sul Sussidiario Nicola Berti scrive: «Il voto di Madrid ieri conferma invece quanto acuta sia una polarizzazione del resto trasversale in Occidente (dagli Usa a Israele): e quanto aspra sarà la campagna elettorale per le Europee. Nella quale si ritroverebbe sicuramente “avvolta” un’eventuale nuova “snap election” spagnola».

A chi suona le campane a festa per la sconfitta strategica dei “conservatori” in Spagna consiglio di leggere le dichiarazioni di Emmanuel Macron sull’“ordine pubblico” che sembrano scritte da Abascal, nonché le prime mosse, pur molto pasticciate e subito contraddette, di Friedrich Merz verso un’Afd che di fatto, per le sue aree di filoputinismo e per alcuni infami flirt di suoi settori con il nazismo, è ben più “pericolosa” di Vox.

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