Saprà Mattarella essere all’altezza della storia democristiana? Noi lo auspichiamo!

A noi vecchi Dc, mai Dc, ci piace pensare che il bagaglio culturale, storico, di valori antichi ed umani, sia il tratto irrinunciabile di questo fratello nella fede

Ora abbiamo un nuovo presidente della Repubblica: Sergio Mattarella. Difficile trovarlo sorridente, d’altra parte stare alla Corte costituzionale non deve essere particolarmente emozionante, è però riconosciuto cattolico integerrimo e politico dalla schiena dritta per via del suo passato antiberlusconismo, del presente non c’è certezza. Potrebbe apparire un Rosi Bindi al maschile, ma lui non è rottamato e le differenze tra una veneta e un siciliano fanno storia. In Sicilia non ci sono rottamati, al massimo recuperati, da Crocetta presidente di Regione a Orlando sindaco di Palermo; lì, chi rottama è solo la magistratura. Anzi, per infangare basta qualche pm.

Mattarella fa parte di quella schiera di personaggi che, talvolta, loro malgrado, si trovano a essere l’incontro fra varie culture politiche, esperienze, sentimenti. Spesso questo capita ai cattolici. Comprensivi, ecumenici, tolleranti, mediatori: sempre con schiena dritta per essere votati anche da sinistra.

A noi vecchi democristiani, mai democristiani, ci piace pensare che il bagaglio culturale, storico, di valori antichi ed umani, dell’impegno per il bene comune e la democrazia sostanziale, sempre nella libertà sia il tratto irrinunciabile di questo fratello nella fede, insignito di tanto onore e responsabilità.

Non si tratta, in primo luogo, di gestire lo scontro su diversi temi delicati immanenti le problematiche più sensibili al mondo cattolico. Si tratta di difendere la libertà sostanziale nella società moderna che è il riconoscimento del valore della dignità dell’uomo. Si tratta di difendere l’uomo dalla violenza di questa società, da tutti vissuta e forse non capita. In un’intervista, don Luigi Giussani, alla domanda di “nominare” la violenza e il potere, così rispose:

«Il potere violento nella società secondo me è univoco: si esprime nell’aggressione portata sull’uomo in modo che sia insabbiato o addirittura infranto il riconoscimento della natura del proprio cuore, cioè delle esigenze di infinito, di verità, di felicità, che il cuore custodisce. Conseguentemente l’uomo è costretto a una terribile “diversione”, a polarizzare l’energia della sua libertà su risposte immediatamente soddisfacenti ma ultimamente inadeguate».
Riflessioni sul senso religioso, in “Communio, numero 98, giugno 1988, pag. 192

Si può auspicare che questo possa essere un programma del nostro nuovo Capo dello Stato? Noi lo auspichiamo!

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