Marine Le Pen e Macron per me pari sono

A chi mi chiedeva cosa avrei votato alle presidenziali americane, ho risposto: astensione. Adesso mi chiedono cosa voterei al ballottaggio delle presidenziali francesi, ed io di nuovo ripeto: astensione! «Ma allora anche tu te ne lavi le mani, ma allora anche tu sei diventato uno di quei cattolici che schifano la politica, che nella fede cercano il conforto psicologico e la giustificazione al perbenismo di chi vuole essere in sintonia col mondo di oggi, con la scusa che così riesce meglio a comunicare la proposta cristiana». Non è così. Intanto il vero perbenista cattolico avrebbe votato Hillary Clinton alle presidenziali americane e voterebbe Macron a quelle francesi, in nome dell’emergenza antirazzista, antipopulista, anti-islamofoba, e magari anche in nome del “realismo” in forza del quale non ha senso voler ridimensionare o addirittura arrestare processi come l’immigrazione di massa, la globalizzazione economica, l’integrazione tecnocratica dell’Europa, il riconoscimento legale dei “nuovi diritti”. Non mi riconosco minimamente in questa posizione, che incarna una vera e propria subalternità culturale dei cattolici di oggi al potere dominante ed è il risultato della riduzione dell’esperienza cristiana a intimismo clerico-borghese. Io nego il mio sostegno a Donald Trump e a Marine Le Pen non in nome della resistenza contro il pericolo fascista, ma perché li trovo troppo simili ai loro avversari liberal. Sono la versione pessimista e provincialista della stessa visione del mondo dei loro avversari.

Che Macron non sia votabile dai cattolici non dovrebbe nemmeno essere oggetto di discussione. Nella sua intervista a La Croix (quotidiano cattolico francese) ci si poteva aspettare che mostrasse un po’ di ipocrisia per attirarsi le simpatie e i voti dei credenti. Tutt’altro. Ha detto molto chiaramente che è contrario alla pratica dell’utero in affitto in Francia, ma favorevole all’iscrizione anagrafica e al riconoscimento della cittadinanza francese dei bambini nati all’estero grazie a questa pratica. Ha ribadito di voler estendere l’accesso alla fecondazione assistita alle coppie dello stesso sesso e ai single. Ma quel che è più grave ancora, si è mostrato interessato alle prospettive aperte dalle innovazioni tecnologiche in direzione del transumanesimo: «La France», ha detto, «doit être à la fois une terre d’innovation et à l’avant-garde de la pensée éthique sur ces sujets». Cioè: la Francia deve essere contemporaneamente una terra di innovazione (tecnologica – ndt) e all’avanguardia del pensiero etico su questi argomenti. Dove andrà a parare il pensiero etico di uno che si dice contrario all’utero in affitto ma incentiva di fatto il ricorso allo stesso da parte dei francesi, purché si rechino all’estero, è facile immaginarlo. Il transumanesimo fra poco sarà tecnicamente realizzabile grazie ai progressi della tecnologia. Esso rappresenta davvero il cedimento definitivo alla lusinga del Serpente nel Giardino: «sarete come Dio». Protesi ad alta tecnologia incorporate al soggetto, chip intracerebrali, dna geneticamente migliorato trasformeranno gli esseri umani in personaggi di Matrix e dei videogiochi Halo. A quel punto scopriranno che anziché essere diventati come Dio si saranno trasformati in cose: prodotti della bioingegneria, che come tutti i prodotti sono destinati a diventare obsoleti e ad essere sostituiti da altri prodotti più efficienti e innovativi. Ma sarà troppo tardi, perché l’eliminazione del pensiero critico e del cristianesimo impedirà loro di prendere coscienza della situazione in cui si sono cacciati.

Tutto ciò però non smorza il mio scetticismo nei confronti dei cosiddetti partiti populisti che attualmente si oppongono ai vari Macron e a un modello di integrazione europea che è culturalmente omogeneo alla filosofia del candidato presidente francese. Sui temi bioetici questi partiti fanno qualche concessione ai conservatori come me, ma per lo più in forma di esche elettorali. La Le Pen, per esempio, è passata dall’opposizione pura e semplice al “matrimonio per tutti” introdotto dalla legge Taubira sotto la presidenza Hollande a dichiarazioni nelle quali si propone di sostituirlo con “Pacs rafforzati”, cioè quelle che in Italia sia chiamano unioni civili (legge Cirinnà), ma “rafforzate”. Marion Le Pen, nipote di Marine e leader dell’ala giovanile del Front National, ha proposto di rendere non rimborsabile dal servizio sanitario l’interruzione volontaria di gravidanza: il partito ha respinto la proposta, che pertanto non fa parte del programma della candidata alla presidenza. Insomma, i partiti identitari, sovranisti, populisti di destra che spuntano un po’ ovunque in Europa (ne feci una sintetica radiografia sul numero di Tempi del 15 dicembre 2016) condividono in realtà la stessa cultura individualista, libertaria, radicale di massa (avrebbe detto Augusto Del Noce), progressista dei loro competitor europeisti. Ho toccato con mano questa realtà durante il recente reportage in Olanda. Qualche lettore distratto è convinto che il Pvv di Gert Wilders incarni i valori giudaico-cristiani e l’identità culturale storica olandese contro il multiculturalismo e il relativismo etico della sinistra e del centrosinistra. Assolutamente no: quel partito condivide in tutto e per tutto l’idea di libertà che sta dietro le leggi sull’eutanasia, l’aborto legale, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, il consumo di droghe “leggere”, la fecondazione assistita, ecc, attualmente vigenti in Olanda. L’unica cosa che non condivide della cultura dei partiti mainstream è l’ottimismo di chi pensa che l’immigrazione islamica non creerà problemi perché sarà assorbita e ci sarà welfare per tutti anche grazie a ciò. Il partito di Wilders è sicuro che gli islamici non sono assimilabili e che non bisogna sprecare un welfare scarseggiante. È una competizione fra pessimisti e ottimisti della stessa pasta.

I partiti populisti di destra fanno leva non sull’identità reale degli europei delle varie nazionalità, ma sulla nostalgia dell’identità. L’identità non c’è più, l’hanno spazzata via le ideologie materialiste, il neocapitalismo, lo statalismo, la secolarizzazione, il Sessantotto, la rivoluzione sessuale, la tecnocrazia, la guerra contro il padre. Il potere, come aveva capito Pier Paolo Pasolini già quarant’anni fa, ci ha omologati: non c’è più differenza, diceva lui, fra fascista, comunista e cattolico; oggi non c’è più differenza nemmeno fra uomo e donna, autoctono e immigrato, credente e non credente, greco e tedesco (tutti e due devono stare dentro all’euro allo stesso modo, e se il greco non ce la fa, peggio per lui). Siamo tutti formiche precarie che lavorano per consumare e mendicano assistenza dallo Stato per poter continuare a consumare. Ma i partiti populisti capitalizzano politicamente sulla nostalgia dell’identità, costruiscono carriere politiche e coltivano narcisismi illudendo gli elettori di poter restituire loro quel senso di appartenenza a una storia e a una collettività di cui europeisti, mondialisti, neoliberisti, liberal e democrat li hanno derubati.

È tempo di abbandonare le illusioni e guardare in faccia alla realtà. Le illusioni perbeniste impregnate di un’ipocrisia così profonda che a un certo punto il perbenista si convince di essere in buona fede, e crede veramente che il mondo di oggi sia caratterizzato dallo scontro fra chi costruisce ponti e chi costruisce muri, e che si tratta di schierarsi coi primi; le illusioni identitarie di chi crede che l’identità sia ancora viva ma in pericolo, e basterà consegnare il potere politico a gente con le palle per metterla al sicuro. Ai primi vorrei dire che un mondo senza confini è solo un mondo informe, senza identità e senza storia, mera materia plasmabile nell’interesse del grande capitale finanziario, delle burocrazie e dei tecnocrati. Ai secondi vorrei dire che l’identità non è solo forma ma anche contenuto, e che se il potere politico può garantire la forma, il contenuto presuppone rapporti reali fra le persone e formazioni sociali vitali. Siccome gli uni e le altre sono stati svuotati, mercificati, decostruiti, non possono più essere difesi erigendo fortezze. Bisogna prima ricreare le identità nella realtà, cosa che richiede tempo e necessita indubbiamente anche della costruzione di mura, ma che siano dotate di porte per entrare e per uscire, per dare e per ricevere. Alla retorica dei ponti e dei muri, preferisco la poetica delle porte: esse rappresentano la mobilità, contro l’immobilità e fissità di muri e ponti. La porta permette di rispondere a situazioni fra loro differenti: la si apre o la si chiude a seconda della contingenza. Ponti e muri sono oggetti immobili, che svolgono una sola funzione e non sanno adattarsi alle circostanze che mutano.

Insomma, la mia astensione non è conseguenza di un ripiegamento intimistico, ma di un giudizio sulla realtà. La priorità oggi ce l’hanno i rapporti reali fra le persone, in tutti i livelli del bisogno umano, a partire dal bisogno di “quaerere Deum”, cercare Dio. Ciò genera un giudizio su tutta la realtà e un senso di responsabilità nei confronti di tutta la polis, che spinge all’impegno politico. Impegno che è sempre anzitutto presenza originale e inconfondibile. Se fossimo presenza, non avremmo problemi di coscienza al momento del voto, non rischieremmo di doverci rifugiare nell’astensione, perché voteremmo sempre, in qualche modo, per noi stessi impegnati in politica. Ma occorre ripartire da un’amicizia cristiana fra persone, che si rischiano in politica e chiedono il voto in forza dell’unità fra di loro.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Exit mobile version