Maria Antonella è morta a 19 anni di anoressia, in attesa che Dio la curasse

«Un uomo dovrebbe mangiare perché ha un buon appetito da soddisfare,
e – lo dico con grande enfasi – decisamente non perché
ha un corpo da sostenere
» (da Eretici).

Ci abbuffiamo senza avere più appetito. È questa la sintesi di una dieta assolutamente malsana. Malata anzi: è anoressia e bulimia insieme. Ci droghiamo di dosi eccessive di qualunque cosa e poi veneriamo la figura filiforme e asciutta. Come se il cibo dovesse saziarci abbondantemente, senza lasciare una benché minima traccia. Ma il cibo deve lasciare traccia, sostanza, nutrimento: non serve a sopravvivere, serve a gustare la nostra dimensione corporale, creaturale.

Bisogna essere carnivori per essere umani. Il signor Chesterton espresse un po’ meglio questo concetto dicendo che «ogni anima umana deve provare su se stessa la gigante umiltà dell’Incarnazione. Ogni uomo deve vestirsi della carne per poter incontrare l’umanità»; ed è per questo che le amicizie più vere si consolidano a tavola. Le cose più serie, tra veri amici, si dicono tenendo in mano una birra (o del vino, de gustibus …).

Una notizia apparsa in queste ore informa che Maria Antonella Mirabelli è morta di anoressia a 19 anni in Argentina, assecondata da parenti (tranne il padre) e conoscenti nella sua scelta di non ricevere cure sulla base del precetto biblico «Dio cura ogni male». In attesa di ulteriori approfondimenti sull’evento, intanto è stata etichettata come la ragazza “morta di religione”. Non ne so abbastanza su di lei per permettermi di giudicare il suo gesto. Ma capisco che notizie del genere servano in ogni caso a diffondere una certa idea di religione. Se questa ragazza ha trattato la parola della Bibbia come un oracolo o come un idolo, il suo affidarsi non è stato una preghiera nel senso cristiano del termine. Perché la preghiera non è una delega passiva a Dio, ma una volontà piena e attiva. Non so cosa sia accaduto veramente a lei, ma so che quando la religione viene presentata o praticata nella forma di una venerezione irrazionale è attaccabilissima. E giustamente. Perché l’astrattismo, l’idolatria è attaccabile. Per questo Dio si è vestito della carne; e siamo noi quelli che sempre più si svestono della carne.

Vedo molte specie di anoressia e bulimia attorno a me, generate da una pura devozione di qualche astratto idolo. Diventa diabolico venerare certi meravigliosi ideali in astratto, se il risultato concreto a cui portano è un gesto mortale: l’anoressia non è solo una delle malattie attualmente più diffuse tra le giovani, è diffusa anche tra gli adulti benpensanti che venerano in astratto la Vita, e poi cominciano a recintarla, organizzarla, limitarla. Cioè è anoressica anche la cultura dell’aborto e dei suicidi assistiti. È un paradosso volgere in alto lo sguardo trasognato e illuso, e perdere di vista ciò che abbiamo tra le mani – ciò che esiste nella carne.

Con la bulimia il risultato è il medesimo: si ingurgita tutto e si trattiene nulla. Anche in questo caso gli esempi si moltiplicano: la parola d’ordine, accompagnata da relativo motivetto musicale, è illimitatamente. Ci ho messo un bel po’ di minuti a convincere quella buon’anima dell’operatrice di un certo call-center che non me ne facevo niente di 500 minuti di conversazione al mese. Anche se era un’offerta, rispetto alla mia tariffa telefonica. È un’offerta abbondare di qualcosa che non è necessario? Ho trattato con molta gentilezza l’operatrice, ci mancherebbe; soprattutto perché lavorava di domenica. Illimitatamente, appunto. Ci si deve anche ingurgitare di lavoro a più non posso, per tirare a campare; a tutte le condizioni. E questo non è affatto nutriente per la vita, anzi è mortale quanto l’anoressia. Il corpo e la fisionomia umana scompaiono schiacciate tra le morse opposte dello smisurato eccesso e della crudele mancanza. Di cibo. Di gusto, di condivisione di quel bisogno fondamentale che è non la pura e semplice alimentazione, ma l’appetito. Il sentire appetito è la misura giusta: perché ci dice che abbiamo bisogno, e ci dice anche che abbiamo bisogno di qualcosa di buono. Proprio come nella beneamata e famosa pubblicità del cioccolatino (perché dietro i luoghi comuni c’è sempre qualcosa di vero). Ed è vero che il neutro non è un sapore che ci soddisfa.

Una dieta sana parte dal dato dell’appetito, non lo censura. Non parte da soluzioni campate per aria: che siamo in ordine alfabetico, a zona, o suddivise per colore. A dispetto delle apparenze, certi libri (cioè certe pure teorie) non danno risposte, e anche il libro più sacro se trattato da teoria non dà risposte. Ma quando Dio ha smesso di essere un libro e si è messo a camminare per il mondo, si è circondato di amici e ha condiviso con loro pane e vino.

Chi non parte dal fine corporeo delle cose è semplicemente uno snob, disse Chesterton e il suo Innocent Smith, protagonista di Uomovivo, sgretolò montagne di accademiche dissertazioni sul nulla, dando innanzitutto credito alla presenza fisica del suo corpo: «A quel tempo la filosofia imperante nelle scuole era un cupo nichilismo, che alimentò in lui un conflitto tra il corpo e lo spirito, ma era il corpo a essere nel giusto. Mentre il suo cervello accettava quella lugubre teoria, il corpo si ribellava a essa».

La convivialità è un atto di gratitudine e umiltà, l’antidoto all’idolatria privata e solitaria del proprio corpo. E la gratitudine e l’umiltà se stanno assieme, solitamente stanno agli antipodi degli eccessi. Solitamente stanno anche assieme all’ironia, che è un altro grande scudo contro la malattia. Sì, il corpo ci ricorda anche questo: che siamo un po’ ridicoli. Soprattutto a breve (?!?) quando andremo in spiaggia. E, proprio per questo, al diavolo la propaganda vessatoria sulla prova costume, io aspetto il prossimo post di Tommaso Farina.

@AlisaTeggi

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