«Mani Pulite fu solo distruzione, immiserimento, sporcizia»

Il crollo dei partiti e la finta rivoluzione giudiziaria. La codardia di Scalfaro e la battuta di Agnelli. A 30 anni da Tangentopoli, intervista a Gennaro Acquaviva: «Si è bruciato e sporcato tutto»

Fiaccolata di solidarietà ad Antonio Di Pietro, Roma, 1996

«Aver sporcato e poi distrutto i partiti che avevano pur sempre costruito la Repubblica, senza un’idea di rinnovamento e di guida, senza un progetto positivo per la nuova classe dirigente capace di governare l’Italia, ha portato a un vuoto pericoloso e a un danno enorme. Dopo trent’anni siamo ancora nella transizione apertasi nel 1993, e gli esiti si vedono chiaramente nella discussione sul nuovo presidente della Repubblica tra i cosiddetti “partiti” in campo, a partire da quella vera e propria caricatura politicamente inesistente rappresentata dai 5 Stelle, la versione consequenziale di Mani Pulite». Gennaro Acquaviva, senatore e braccio destro di Bettino Craxi, oggi presidente della Fondazione socialismo, ricorda gli anni di Mani Pulite e analizza le conseguenze di lungo periodo legate alla rivoluzione giudiziaria del 1992-1994.

La copertina di Tempi di gennaio

Senatore, sono passati esattamente trent’anni dall’inizio di Mani Pulite. A conti fatti, si può dire che la rivoluzione giudiziaria ha stravolto la storia dell’Italia contemporanea?

Sì, direi che l’ha cambiata radicalmente e in peggio. Ma per capire quello che accadde è necessario fare una premessa cruciale. La Repubblica del 1947 era stata fondata anche sugli equilibri mondiali legati alla guerra fredda, con l’Italia che sceglieva il fronte occidentale dopo le elezioni del 18 aprile 1948. Questo sistema, considerata l’appartenenza atlantica dell’Italia, non prevedeva possibilità di ricambio visto che i voti del Pci, decisivi a sinistra, non erano agibili a livello democratico. L’alternanza, finché c’era un partito comunista che permaneva in qualche maniera legato al sistema sovietico, non era possibile; questo rese non sostituibili i partiti dell’area di governo, generando inefficienze crescenti ed anche inevitabilmente e progressivamente corruzione. Un sistema personale e di gruppo per forza di cose statico, continuista e conservatore negli uomini e negli strumenti che, senza poter contare sull’alternanza, arrivò inevitabilmente all’indebolimento. Anche per gli errori dei socialisti, naturalmente, che non riescono a cambiarlo da soli, malgrado la spinta innovatrice degli anni Ottanta, soprattutto perché non riescono a prendere i voti (e la classe dirigente) progressisti che sarebbero serviti. Il crollo del muro di Berlino del 1989 accentua tutti i guasti dovuti alla mancata alternanza e facilita la creazione delle condizioni per il disastro. Il sistema è sempre più fragile ed impotente, anche perché, nell’ultimo tempo utile, tra il 1987 il 1992, non cambia nulla, per responsabilità precipue dei principali partiti democristiani e comunisti ma anche dei socialisti. È così che, in una fase di grave debolezza, si affermano due forze diverse, tendenzialmente antipolitiche e sicuramente non democratiche. Da un lato poteri esterni che vogliono destabilizzare l’Italia per ragioni speculative e di interesse economico; dall’altro magistratura e media che sono in grado di vincere la partita perché alimentano fenomeni di revanchismo antipartitico e antisolidaristico, senza costruire nulla di nuovo e positivo ed anche riuscendo a sporcare tutto: uomini e storie.

Gennaro Acquaviva (in piedi) vicino a Bettino Craxi, durante una riunione della direzione del Psi, 30 novembre 1978, Roma

Una lettura di ampio respiro: perché i partiti non furono in grado di resistere alla saldatura tra magistratura e media?

I partiti erano più deboli di quello che apparivano e quindi non furono capaci di cambiare sé stessi e fare le riforme necessarie. Per questo ne pagarono le conseguenze. Oltre alla caduta del Muro si può menzionare il trattato di Maastricht come causa agente, che fu ratificato nel 1992, e che modificò radicalmente il contesto in cui era nata la Repubblica dei partiti. Bisogna poi ricordare il ruolo decisivo del presidente della Repubblica del 1992, Oscar Luigi Scalfaro, che non difese la possibilità di una sana riforma del sistema e soprattutto non fece nulla per opporsi al ruolo “antisistema” della magistratura milanese.

Davvero strano se si considera che Scalfaro partecipò all’Assemblea costituente…

Scalfaro era un brav’uomo, buon cristiano e persona per bene. Ma nel 1992/93 si sente drammaticamente minacciato perché ha paura per se stesso. È soprattutto per la sua mancanza di coraggio, a causa del suo cuore di coniglio, che non osa fare il suo mestiere opponendosi ai magistrati antisistema, anche perché era un magistrato lui pure, seppur di un’altra pasta. In quella fase ad esempio ha paura di tutto e teme anche di parlare direttamente con Craxi; per questo usa me per dirgli che non lo avrebbe potuto fare presidente del Consiglio, perché, mi racconta un giorno, quella mattina l’Avvocato Agnelli gli ha detto duramente: «Se lei si permette di indicare Craxi ne avrà delle conseguenze devastanti!». Per memoria ricordo che in Parlamento il quadripartito aveva i voti per costruire una maggioranza sicura e che Scalfaro, prima di essere eletto al Colle, si era esplicitamente accordato con la Dc e con Craxi medesimo per indicare proprio lui come presidente del Consiglio.

Perché il Psi si trasformò nel capro espiatorio di quella crisi?

Perché il Psi era ritenuto l’unico partito in grado veramente di cambiare le cose e quindi, nell’opinione dei due soggetti collettivi dominanti, era decisivo. Craxi e i socialisti, pur con tutti i loro difetti, erano gli unici in grado di superare il blocco del sistema, magari promuovendo l’alternanza dopo aver preso buona parte di quelli che rimanevano voti comunisti. Bisogna anche rilevare che tra il 1987 e il 1992 i socialisti perdono molto della loro spinta propulsiva che li aveva caratterizzati dopo il 1980, anche perché Craxi sempre più pessimista rimane ingabbiato nell’accordo con la Dc. Inoltre il Psi, soprattutto per la sua struttura più leggera, era il partito più permeabile alla corruzione, anche se disorganizzata e personalizzata rispetto a quella praticata nella Dc e nel Pci. Quindi era più facile che l’arricchimento fosse individuale. È per questo che, tra i socialisti, si poté prendere spesso di petto la singola persona.

Bisogna anche riconoscere che in quella fase esplose un profondo sentimento antipolitico e un violento giustizialismo.

Le racconto un episodio per farle capire il clima. Nel 1993 i magistrati di Milano mandano i carabinieri fin dentro il Palazzo di Montecitorio sbandierando un mandato per sequestrare i bilanci dei partiti. Le ricordo che per la legge del tempo i bilanci dei partiti erano pubblici e perciò stampati sulla Gazzetta Ufficiale. I carabinieri entrano in Parlamento illegittimamente e nessuno li allontana, come doveva, magari a calci. Nemmeno il presidente della Camera del tempo, Giorgio Napolitano, osò trattarli come meritavano. Fu un episodio clamoroso, una prova di forza del pool di Milano nei confronti della politica, per sottolineare platealmente che il Parlamento era il luogo della corruzione e che andava “espugnato” e “svuotato”.

Perché siamo ancora a quel tipo di giustizialismo?

Perché è rimasto lo stretto legame tra media e magistratura nato durante gli anni di Mani Pulite. Allora bastava un articolo per scatenare la gente e mettere alla gogna un uomo politico e trasformarlo in ladro. Oggi in parte è ancora così. Nel 1992 ero senatore eletto in Salento, e i politici del Psi locale, gente per bene, che non aveva toccato una lira, venivano insultati e non potevano farsi vedere nelle piazze dei loro piccoli paesi perché gli gridavano dietro «ladro, ladro!». Il clima era pesantissimo e personalizzato.

Anche la stampa ebbe un ruolo decisivo.

La storia è nota anche se non la ricorda più nessuno: i direttori e i capiredattori dei principali quotidiani (Repubblica, Unità, Stampa e Corriere della Sera, che sono tutti ancora vivi e vegeti, ringraziando Dio), facevano una riunione serale per stabilire chi dovevano mettere in croce il giorno dopo, con i titoli e le parole d’ordine. Era un sistema ben organizzato e diretto. E che rispondeva a qualcuno…

A chi secondo lei?

Per esempio a chi era comunista ed anche cattocomunista, come i loro alleati palesi e occulti; poi a chi operava nel settore finanziario e dei “padroni del vapore” e cercava di speculare e quindi depotenziare la forza dei partiti. Nello schema clientelare del tempo senza il loro appoggio (da Repubblica in giù), i giornalisti d’area avrebbero perso influenza. Poi molti pensavano che gli era più utile far saltare il sistema perché così potevano facilmente fare carriera. Spesso è quello che avvenne. Non a caso il cambiamento non fu guidato da alcuna logica o disegno, ma fu solo distruzione, immiserimento, sporcizia.

Perché non si è rientrati alla normalità dopo quella sbornia manettara?

Semplicemente perché si è fatta tabula rasa, si è bruciato e sporcato tutto a partire da tradizione e storia. E questo ha reso tutto più complicato per ricostruire il nuovo. Non a caso si è arrivati ai 5 Stelle che sono la versione carnevalesca della vicenda di Mani pulite. Aver distrutto i partiti senza averne sostituito costruttivamente la loro funzione democratica e progressista ha portato al vuoto presente dannosissimo e pericoloso. Ripeto, dopo trent’anni siamo ancora nella transizione apertasi nel 1992 e gli esiti si vedono chiaramente anche in questi giorni. Oggi non c’è un punto di solidità, non esiste alcun punto di aggregazione serio e costruttivo che guardi al bene dell’Italia.

Insomma, Mani Pulite ha generato un modo di fare politica iperconflittuale…

Sì, anche perché sono stati spazzati via gli anticorpi legati ai partiti. Non ci sono più le forze di integrazione e di solidarietà di massa. A mio avviso è da qui che occorrerebbe partire per rifare gli strumenti della politica. Questi si possono ricostruire grazie al sociale, alla spinta volontaristica per i buoni sentimenti, a una cultura solidale diffusa e quindi utilizzando qualche corpo collettivo. Io insisto da tempo sul ruolo della Chiesa, ricordo lo stretto rapporto che la fece solidale e diffusa, anche attraverso i vescovi nominati da papa Montini negli anni 40/50 e oltre, che ebbero un ruolo positivo negli sviluppi del partito democristiano ma soprattutto del Paese.

Foto Ansa

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