Mani Pulite, Di Pietro se le canta al Corriere. Confessione di un cuore tenero o vanto postumo di un impunito?

Il diavolo si rammarica perché prima o poi la verità salta fuori. È il caso dell'intervista di Di Pietro a vent'anni dal suicidio di Raul Gardini

Mio caro Malcoda, il tempo gioca contro di noi, prima o poi fa saltare fuori la verità. Lo dico con un velo di tristezza, il sentimento che accompagna l’ipocrisia, dopo aver letto l’intervista dell’ex poliziotto, ex pm, ex ministro, ex deputato Antonio Di Pietro al Corriere della Sera a vent’anni dal suicidio di Raul Gardini, il 23 luglio 1993.

Oggi Di Pietro si rammarica di non averlo arrestato: «Avrei potuto salvarlo. Doveva venire in Procura. Invece si sparò. Se l’avessi fatto arrestare subito, sarebbe ancora qui con noi». Fin qui il rammarico di un uomo che segnala un paradosso: privare una persona della libertà serve a salvargli la vita. Forse non era questa la sua intenzione allora. Forse Gardini perse la vita proprio a causa della possibilità di perdere la libertà. E a questo punto si potrebbe sottolineare la superiorità dei fatti (l’arresto) rispetto alle ipotesi (forse mi arrestano), i primi avrebbero salvato, le seconde hanno ucciso. Ma è Di Pietro stesso a riportarci sul piano dei “se”.

Di fronte al giornalista che gli chiede «Lei, Di Pietro, Gardini l’avrebbe mandato a San Vittore?», l’eroe di Mani pulite cede, e confessa quello di cui molti l’accusavano ma che lui ha pervicacemente negato per anni: «Le rispondo con il cuore in mano: non lo so. Tutto sarebbe dipeso dalle sue parole: se mi raccontava frottole, o se diceva la verità… Avevo predisposto tutto… Se faceva il nome di qualcuno, prima che il suo avvocato potesse avvertirlo, io gli mandavo le forze dell’ordine a casa. Sarebbe stata una giornata decisiva per Mani pulite. Purtroppo non è mai cominciata». Così, papale papale: «Tutto sarebbe dipeso dalle sue parole», dove “tutto” significava “carcerazione preventiva”, un istituto che secondo la norma “dipende” da tre fattori: l’ipotesi di fuga, la possibilità di reiterare il reato, il rischio di inquinamento delle prove.

Di Pietro non li cita, non pare considerarli il fattore decisivo – seguendo il filo del suo rammarico – per salvare Gardini sarebbero state le sue parole. Con paradosso che aggiunge a paradosso: se Gardini avesse detto la verità sarebbe rimasto libero, e quindi anche e ancora libero di spararsi. Se Gardini avesse raccontato frottole sarebbe finito in cella e non avrebbe avuto la libertà di uccidersi, almeno non quella di farlo con una pistola (ché in altri passaggi Di Pietro si attarda anche sul suicidio in carcere di Gabriele Cagliari).

Quando il giornalista ricorda a Di Pietro una sua frase dell’epoca: «Nessuno potrà più aprire bocca, non si potrà più dire che gli imputati si ammazzano perché li teniamo in carcere sperando che parlino», l’ex magistrato tentenna: «Può darsi che abbia davvero detto così. Erano giornate calde», poi torna il duro che era: «Ma il punto lo riconfermo: non è vero che arrestavo gli inquisiti per farli parlare. Quando arrestavamo qualcuno sapevamo già tutto, avevamo già trovato i soldi. E avevamo la fila di imprenditori disposti a parlare».

Appunto. Chi dorme non piglia pesci. Chi parlava non pigliava galera. Purtroppo il tempo, come si dice in quel libro che preferisco non nominare, porta a galla i pensieri segreti di molti cuori. Io confidavo nella prudenza che aveva consigliato l’uso dell’aggettivo “molti”: molti, non tutti. Invece, prima o poi cedono anche i più duri. O forse è solo il vanto postumo degli impuniti? Pensaci, sarebbe il nostro trionfo.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche

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