Macron indagato: in Francia ogni tanto lo “Stato profondo” emerge chiaramente

Secondo Le Parisien il presidente francese Emmanuel Macron è indagato per finanziamento illecito delle sue campagne elettorali (foto Ansa)

Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Notizia bomba dalla politica francese. Il presidente Emmanuel Macron è indagato per presunto finanziamento illecito. A rivelarlo è Le Parisien, che spiega come l’indagine preliminare sia stata avviata dall’ufficio del procuratore finanziario nazionale lo scorso novembre, e riguarderebbe presunti sospetti circa le regolari condizioni in cui sono stati assegnati alcuni contratti pubblici alla società americana McKinsey».

In molti ricordano il ruolo che il Deep State francese ebbe per liquidare un già moribondo François Hollande e quello che esercitò (accompagnato dagli opportuni media) per far fuori un troppo “cattolico” candidato gollista come François Fillon, aprendo così la strada a Emmanuel Macron. Che oggi un Eliseo così pasticcione (dalla Russia all’Africa, dalla Germania all’Italia) finisca nel mirino della magistratura, è solo un caso?

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Su Formiche Giovanni Guzzetta scrive: «Un esempio delle distorsioni di una discussione che merita invece ben altra compostezza e serietà emerge dalla polemica del presidente De Luca con il ministro Calderoli, titolare del dicastero competente. De Luca, peraltro in buona compagnia con altri (non tutti) governatori di Regioni del Sud, ritiene nelle proprie dichiarazioni che, intorno al tema dell’autonomia, si voglia consumare una spaccatura del paese a tutto vantaggio delle regioni del Nord, aumentando ulteriormente diseguaglianze purtroppo conclamate. Il paradosso è che se, invece, si abbandona il terreno della polemica e delle dichiarazioni, e si guarda ai fatti, si scopre che lo stesso De Luca, nel 2019, trasmetteva al governo, nella persona del presidente Conte, una proposta di avvio di un negoziato per il conferimento di autonomia differenziata alla Campania. La notizia non è solo rilevante in sé, ma anche per il contenuto di quella proposta, soprattutto su due particolari profili intorno ai quali più accesa è la polemica. Il primo è quello delle materie da conferire. Nella proposta della Campania compaiono anche, ad esempio, istruzione e sanità, quelle su cui più accesi sono i toni dello scontro».

Vincenzo De Luca è un perfetto difensore dei campani che rappresenta. Con un partito allo sbando, per svolgere il suo ruolo di “defensor” è costretto, però, a puntare più sulla demagogia che su una politica di riforme. Peccato.

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Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «A ottobre, chiuse le urne, Bonomi ha criticato l’esecutivo che stava per insediarsi, nel quale la Lega gli aveva sbarrato la strada. A luglio blandiva la futura maggioranza, a ottobre criticava chi voleva introdurre “immaginifiche flat tax e misure di prepensionamento” alternative alla Fornero. Quel Bonomi diceva che “le due grandi emergenze sono l’energia e la finanza pubblica”. E ora che il governo ha destinato due terzi della sua prima manovra a indennizzare famiglie e imprese taglieggiate dal caro energia, ecco spuntare un altro Bonomi che critica Giorgia Meloni per “la mancanza di visione” e di fondi, pur ammettendo che “è un bene che si sia tenuta la barra dritta sulla finanza pubblica”. C’è un Bonomi contiano, ce n’è uno draghiano, c’è quello pallonaro e quello meloniano (se avesse fatto il ministro). Sfumata la poltrona, ora ci ritroviamo quello antimeloniano che contesta la “mancanza di visione”. Sarebbe interessante conoscere qual è veramente la sua».

Vi sarà della malizia in questa ricostruzione del Sussidiario, ma è un fatto che quando Confindustria non è guidata da un vero imprenditore (nei miei ricordi i migliori sono stati, dagli anni Ottanta in poi, Vittorio MerloniLuigi Lucchini e Antonio D’Amato) e si affida a dei confidustriali piuttosto che a degli industriali (da Luigi Abete a Luca Cordero di Monzemolo fino a Carlo Bonomi), il rischio di alimentare intrighi assai poco trasparenti, invece che rappresentare gli interessi di un ceto sociale fondamentale, è assai elevato.

Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «Da quando è entrato in carica il governo Meloni, si è rotto l’incantesimo della luna di miele che da sempre accompagna l’avvento di un nuovo premier. In questo caso, poi, si tratta anche del primo premier donna, il che avrebbe comunque suggerito una maggiore prudenza nelle critiche. Invece contro Giorgia Meloni si è da subito schierato un vero e proprio plotone di esecuzione. Tutte o quasi le testate più titolate, dopo aver agitato lo spauracchio del possibile ritorno al fascismo in caso di vittoria del centrodestra e del conseguente isolamento dell’Italia sul proscenio internazionale, hanno cambiato canovaccio e si sono messe a bombardare l’attuale governo per quello che in realtà, a parole, avrebbero fatto anche le sinistre se avessero vinto le elezioni».

La stampa deve fare il suo mestiere da cane da guardia della società civile rispetto alle istituzioni politiche. Lo fa come vuole e come può. Il valore della libera discussione nasce dalla libertà, non da astratte regole. La fa con scelte di netto schieramento (in una fase di crisi dei partiti, vi sono diversi quotidiani che ne hanno surrogato le funzioni), o cercando di assumere un ruolo terzo (oggi sia il Corriere della Sera sia il Sole 24 ore si sforzano di tenere questa posizione). Quando testate a vocazione “non prioritariamente schierata”, pur con naturali inclinazioni ora più liberal ora più conservatrici, preferiscono dedicarsi alla manovra politica invece che a un’informazione anche critica ma articolata, non è illecito chiedersi quali siano gli obiettivi delle proprietà che hanno scelto certi direttori e certe linee.

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