Per capire perché Livorno ha scelto il grillino pur di non votare Pd, bisogna partire dal caso Esselunga

La disfatta dei "rossi"? Colpa della disoccupazione e dello strapotere inconcludente della sinistra. L'analisi di Ugo De Carlo, candidato sindaco sconfitto al primo turno

La caduta del centrosinistra a Livorno è indubbiamente il risultato più clamoroso dei ballottaggi elettorali dello scorso fine settimana. «Ma bisogna leggerlo con attenzione: non è stato un voto a favore del Movimento 5 Stelle di Filippo Nogarin, prima di tutto è stata una scelta anti-Pd». Legge così il risultato delle urne nella città labronica Ugo De Carlo, candidato sindaco sconfitto al primo turno dopo essere stato sostenuto dalla lista civica “Votare per cambiare”. A sostegno dell’analisi, De Carlo cita il recupero percentuale clamoroso ottenuto dal candidato grillino, che in due settimane è passato dal 19 per cento a quasi il 54. Perciò certo, la bassa affluenza ha influito di sicuro sull’esito, «ma la cosa emblematica è che delle 19 liste che hanno partecipato al primo turno non ce n’è stata una che abbia appoggiato al ballottaggio Ruggeri, il candidato del Pd».

IL PORTO SENZA TRAFFICO. Ma come è possibile che una roccaforte di sinistra come Livorno sia crollata dopo 68 anni di amministrazioni comunali sempre dello stesso colore? Qui dove negli anni Venti nacque il Partito Comunista Italiano, le ragioni vanno cercate in anni e anni di inefficienza burocratica, lassismo ed errori di amministrazione, con una crescita spaventosa della disoccupazione giovanile, che a Livorno è quasi il doppio delle altre province del centro Italia. «La crisi c’è dappertutto, ma qui picchia più forte», spiega De Carlo. Uno dei suoi luoghi simbolo della città, il porto, ha perso tutto il suo prestigio secondo De Carlo proprio a causa della pessima amministrazione che ha avuto alle spalle. «E pensare che vent’anni fa eravamo il primo porto del Mediterraneo, il secondo in Europa dopo Rotterdam. Poi però l’area merci non è mai stata dragata: il pescaggio è troppo basso e non permette alle grandi navi porta-container di arrivare qui. Doveva nascere una nuova banchina, la darsena Europa, più a largo, proprio per aggirare i problemi del fondale, ma anche quello è rimasto un progetto mai completato per varie ragioni».

IKEA ED ESSELUNGA. Nel corso degli ultimi dieci anni da città rossissima, insiste De Carlo, Livorno è diventata il simbolo più negativo di una sinistra burocratica, statalista e affezionata solo al proprio potere. Un esempio? Ikea, che impiegò anni anni per ottenere un permesso per aprire un negozio non lontano da qui, proprio “grazie” alle resistenze del sistema. Ancora più smaccato poi è il caso di Esselunga. Era il 2010 quando in città saltò fuori un’area adatta alla realizzazione di un nuovo centro commerciale; Caprotti offrì ben 16 milioni in più della Coop, ma gli fu risposto picche. «Quando al proprietario del terreno chiesero perché avesse rifiutato un’offerta maggiore, quello rispose con una frase eloquente: “A Livorno io ci devo vivere”», ricorda De Carlo. «Praticamente è come se fossimo in un regime».

LE IDEE DI NOGARIN. Così la città spingeva per cambiare, e a fronte dell’annichilimento del centrodestra gli elettori hanno scelto di dare più fiducia al grillino Nogarin, «che ha avuto il merito di fare una campagna elettorale senza usare toni da urlatore. È sempre rimasto molto pacato: non è un caso se di qui Grillo non è mai passato». Così è riuscito a tranquillizzare anche di chi temeva di fare un salto nel buio votando M5S. «E questo – conclude De Carlo – nonostante alcune proposte che paiono naif: ad esempio, la scelta degli assessori attraverso un bando, con tanto di e-mail cui spedire il proprio curriculum. O questo fatidico “cittadino controllore” da inserire nei Consigli d’amministrazione delle partecipate. Ma tutto il loro programma è parso povero e ripetitivo. Eppure sono riusciti a vincere».

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