L’Europa è pronta a tornare a fare la guerra?

Sergio Mattarella ha parlato della necessità di costruire un esercito comune europeo, ma per farlo l'Europa deve cambiare mentalità

Allontanandosi per una volta dal suo consueto aplomb istituzionale, Sergio Mattarella ha preso di petto l’atteggiamento di molti paesi europei nei confronti dell’Afghanistan, definendo «sconcertante» la mancanza di volontà di accogliere i profughi in Europa. Affrontando poi l’irrilevanza dell’Unione Europea sullo scacchiere internazionale, ha aggiunto: «Oggi è richiesto che l’Unione abbia una maggior capacità di presenza, una voce sola, appunto nella politica estera e di difesa». Ci vuole insomma, per il nostro capo dello Stato, un esercito comune europeo.

L’esercito comune europeo costa

Raggiungere in Europa un accordo sul tema non è solo arduo politicamente, come scrive oggi Angelo Panebianco in un editoriale sul Corriere della Sera: «Ci sono ostacoli potenti da rimuovere di natura politica, psicologica, culturale». Da settant’anni l’Europa è abituata a vivere «della protezione altrui» e a fare affidamento sugli Stati Uniti. E sarà difficile «convincere i cittadini europei che un giorno essi dovranno accettare lo spostamento di una certa quota di risorse dal welfare alla difesa».

Anche coloro che oggi sono d’accordo a istituire un esercito comune europeo, «saranno disposti, quando e se si verrà al dunque, ad avallare una simile dislocazione di risorse»? Il tema non è solo economico. Un esercito comune per l’Ue significherebbe tornare ad avere una visione geopolitica e assertiva sul panorama internazionale.

L’Europa è pronta a considerare la guerra?

Non si tratterebbe più, cioè, soltanto di esportare «valori» e buone pratiche con l’esempio e magari gli incentivi economici, ma di «compromettersi con cose come la Realpolitik, la politica di potenza e simili». Continua Panebianco sul Corriere della Sera:

«Non si tratterebbe solo di innalzare una barriera difensiva. Non ci sarebbe difesa comune senza una politica assertiva verso il mondo esterno. Ad esempio, la sicurezza europea richiederebbe facilmente una proiezione esterna, con finalità di pacificazione, nelle zone più turbolente del Medio Oriente o dell’Africa, da cui possono arrivare le minacce all’Europa. Ma come è noto, quando uno stato (o domani l’Unione) interviene fuori dai suoi confini dispiegando mezzi militari, distinguere fra politica della sicurezza e politica di potenza diventa un esercizio difficile. Si possono immaginare fin d’ora gli strilli e le proteste dei perfezionisti».

Per dare davvero vita a una difesa comune, è necessario dunque che i Ventisette cambino «mentalità» e si arrendano a una scomoda verità: «Non si tratta solo di mettere insieme soldati ed armamenti. In Europa, per oltre settant’anni, ci siamo potuti permettere il lusso di occuparci d’altro. Quell’epoca è finita. Purtroppo».

Foto Ansa

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