«Il malloppo di 17 miliardi della lotta all’evasione fiscale? Propaganda. Dividete per 10»

Intervista all'economista Francesco Forte sulla situazione economica italiana e i provvedimenti del governo: «Nessuno ha detto a Letta che prima di tagliare la torta, occorre farla?»

Quattro miliardi di euro per togliere l’Imu prima casa nel 2013, 1 miliardo per scongiurare l’aumento dell’Iva di un ulteriore punto percentuale a ottobre, 2 miliardi per congelare l’aumento della Tares e 3 miliardi per rifinanziare gli ammortizzatori sociali in vista del prossimo anno. Per un totale di 10 miliardi di euro per i quali, se devono essere reperiti in tempi brevi, il premier Enrico Letta e il suo entourage dovranno subito attivarsi per cercare le coperture necessarie.
Ma a che punto è il lavoro dei politici e di cosa ha soprattutto bisogno l’Italia in questo momento? Di niente di tutto ciò secondo Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, che individua altre due priorità: «Eliminare il rischio giuridico per chi vuole fare impresa e riformare i contratti del lavoro per renderli più flessibili». Così si mettono i presupposti per superare la crisi. E si evita che gli imprenditori fuggano dal Belpaese.

Professore, a settembre il governo Letta avrà un bel da fare per trovare le risorse necessarie…
Anzitutto è opportuno precisare che si tratta di più di 10 miliardi di euro, se si considera il fatto che le cifre in questione e le relative coperture riguardano i prossimi due anni e non solo il 2013. Solo per l’Iva, infatti, se si volesse rinviarne l’aumento fino a fine dicembre, di miliardi ne servirebbero 2, e non solo 1; 4 miliardi l’anno, invece, per rispettare gli impegni presi con Bruxelles se il balzello di un punto percentuale dovesse essere cancellato. Mentre dei 4 miliardi che servono per abolire l’Imu prima casa, 2 sono stati reperiti con le operazioni del ministro Saccomanni, che però hanno valore una tantum; ciò significa che 2 miliardi ancora mancano per quest’anno e che, dall’anno prossimo, bisognerà tornare a reperire 4 miliardi ancora.

E come si fa con l’Unione europea che chiede a tutti i costi di rispettare il vincolo del 3 per cento sul deficit?
Quel che è peggio è che si tratta di pericolose operazioni d’equilibrio svolte sul fronte delle entrate proprio per non aumentare il deficit, già spinto al limite dei vincoli imposti da Bruxelles dal governo Monti che ha agito come una specie di “Babbo Natale” con regioni ed enti locali, finanziandoli affinché pagassero i debiti pregressi dello Stato verso le imprese. Così non sarebbe, tuttavia, se l’esecutivo Letta si decidesse a tagliare le spese anziché agire sul fronte delle entrate.

Ci sono margini per scongiurare l’aumento dell’Iva?
Non dimentichiamo che l’aumento dell’Iva era stato ipotizzato dall’allora ministro dell’Economia del governo Berlusconi, Giulio Tremonti, come clausola di salvaguardia per garantire 8 miliardi di euro che avrebbero dovuto essere reperiti tagliando la selva dei 300 miliardi di esoneri fiscali di cui godono gli italiani. Su una simile cifra ce ne dovrà pur una minima parte che può essere tagliata, o no? Io penso che il governo Letta dovrebbe quantomeno provare a reperire in questo modo qualche miliardo di euro prima di aumentare l’Iva.

Non pensa che il governo possa fare affidamento su parte del “malloppo” di 17 miliardi di euro evasi al fisco scovato dalla Guardia di Finanza?
Bisogna stare attenti, perché queste operazioni sono propaganda. Il fisco, infatti, in questi casi fa sempre annunci altisonanti per farsi pubblicità. Ma poi, di quei 17 miliardi, bisogna capire quanti effettivamente potranno essere riscossi. Io, per esempio, quando ero ministro, dividevo la cifra che mi veniva comunicata sempre per 10 per avere una stima – diciamo così – più esatta. Perché si tratta di riuscire a dimostrare, nella fase di contenzioso tributario, che sono soldi effettivamente dovuti dal contribuente che, il più delle volte, allunga i tempi con i ricorsi; spesso e volentieri poi si tratta di somme appartenenti a imprese fantasma già fallite che nessuno pagherà mai.

Insomma, professore, lei non sembra così convinto della bontà delle politiche messe in atto dagli ultimi due governi…
Mi perdoni ma, a quanto mi risulta, il governo “dei tecnici” non aveva proprio un bel nulla di “tecnico”. Sì, forse c’era qualche professore, ma questa non è affatto una garanzia della qualità del lavoro. Prendiamo, per esempio, l’Imu: è una vergogna, ancor prima che da un punto di vista etico o culturale, proprio tecnico; è fatta da gente che nemmeno sa cosa sia il catasto. E poi sono ignoranti di deleghe fiscali, hanno fatto una serie di norme scritte male e che per di più si sono arenate per l’impossibilità di approntare le circolari e i decreti attuativi. Il numero dei professori in un governo, poi, era superiore quando c’erano la Dc e il Psi. Quelli sì che avevano studiato la materia. Ma oggi… nemmeno tra i sottosegretari se ne trovano; ci saranno bravi manager, certo, ma loro cosa sanno di come funziona l’amministrazione finanziaria? Il vero esperto era Tremonti.

Nemmeno nel governo Letta?
È un governo di coalizione fatto per gestire l’emergenza… non sanno nulla di queste cose. Vede, ora c’è da affrontare anche il tema delle privatizzazioni ma nessuno ha idea di come si possa manipolare questo insieme. La competenza politica, del resto, è anch’essa una tecnica come diceva già Platone. Servono anni di esperienza, non per nulla i senatori, una volta, stavano in parlamento per trent’anni. Un deputato faceva 15 anni di esperienza, poi entrava in commissione, poi diventava sottosegretario, ma solo dopo aver imparato la professione. Essere un professore, può aiutare, ma non basta, occorre esperienza politica.

Lei ha qualche suggerimento da dare al governo?
Vedo che il premier continua a distribuire sovvenzioni a tutti; ma nessuno gli ha detto che in uno stato sociale, prima di tagliare e spartire la torta, occorre farla? Ora, occorre restituire dinamicità all’economia. Per farlo, a mio avviso, bisogna fare alcune scelte fondamentali, una delle quali è la riforma dei contratti di lavoro per renderli flessibili. Poi serve una riforma dello Stato per mettere gli imprenditori al riparo dagli assalti della magistratura, altrimenti scapperanno all’estero. Ma cosa vuole, noi siamo il paese dove un imprenditore è stato condannato a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale perché «non poteva non sapere». E senza che nessuno abbia detto nulla di fronte al fatto che si è applicato un principio di diritto penale al diritto tributario.

@rigaz1

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