Le Università tra lotta politica e neutralità impossibile

L’istituzione in quanto tale non può essere neutrale rispetto a ciò che accade, perché la dimensione politica dell’essere umano è rilevante e gli studenti sono giovani essere umani. Il punto in questione è "il bene"

Uno striscione dei collettivi di sinistra che a fine marzo hanno occupato il rettorato della Sapienza a Roma (foto Ansa)

In un interessante articolo per Tempi Giovanni Boggero opponeva due concezioni di università tra cui si potrebbe e dovrebbe scegliere: quella dell’università come inevitabile luogo politicizzato e quella delle università come comunità di ricerca che si distinguono per neutralità istituzionale rispetto a eventi politici.

In realtà, le due concezioni non dovrebbero neanche essere poste come alternative e, forse, non dovrebbero essere ipotizzate come fondanti di un luogo come l’università.

L’Università come luogo di lotta egemonica

Che l’università sia inevitabilmente luogo di lotta egemonica e politicizzata, che essa debba seguire necessariamente gli eventi pubblici e obbligatoriamente schierarsi è frutto del determinismo (inevitabile, necessario, obbligatorio) che deriva da teorie politiche-sociali degli anni Settanta del secolo scorso e che, sempre più stancamente e minoritariamente, ricompaiono. Se, come sosteneva il Foucault di quegli anni, non c’è la verità della realtà, ma solo regimi di verità che stabiliscono la realtà e la normalità, la lotta politica e partitica è l’unico orizzonte di una vita dignitosa e appassionata.

Qualunque mestiere si faccia, e tanto più se si fanno mestieri intellettuali, occorre schierarsi e battersi per definire la realtà secondo i propri criteri, perché tanto gli altri faranno lo stesso. La neutralità è impossibile. Lo stesso sapere è una forma di potere ed è un luogo di vittoria degli stereotipi condizionati dalle battaglie egemoniche passate.

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Questa teoria, passata un po’ di moda negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, nell’auge del post-moderno e del suo laissez faire di nichilismo dolce o gaio che ammetteva ogni interpretazione, è tornata in auge con l’irrigidimento etico che degli anni 2000, dopo l’attacco alle torri gemelle e, più ancora, con la crisi del 2008 e la protesta contro la globalizzazione. Il Covid, con i suoi fantasmi ed errori di gestione, ha ulteriormente riportato a galla la teoria bio-politica e la lotta per il potere egemonico. In questa concezione, non è possibile non fare della politica egemonica: tutto è e sarà sempre continua lotta.

La pura neutralità è impossibile

Occupato anche il rettorato della Federico II a Napoli (Ansa)

Ovviamente il buon senso, e persino la legge, non prevedono che i professori universitari facciano propaganda politica né lotta politica in nessun senso. Troppo facile imporre le proprie idee a studenti in posizione sociale asimmetrica, come spesso accade, ed è accaduto anche in Italia, durante i regimi.

Tuttavia, anche la pura neutralità è un po’ posticcia. Nessun essere umano è neutrale rispetto a ciò che capita e, pur impegnandosi a capire – come deve – le posizioni di tutti, emergerà ciò che pensa e sente. Non solo, anche l’istituzione in quanto tale non può essere neutrale rispetto a tutto ciò che accade. Non perché tutto sia lotta di potere, ma perché la dimensione politica dell’essere umano è comunque rilevante e gli studenti sono giovani essere umani. Se non una parola venisse spesa quando grandi sconvolgimenti mondiali accadono, magari attaccando le stesse istituzioni universitarie, non sarebbe un bene. Il punto in questione, difatti, è proprio il bene.

Neutralità e bene nelle università

La neutralità serve solo se la conoscenza che nelle università si coltiva – inclusa quella della complessità dei fenomeni e provvisorietà delle conclusioni – è considerata un bene, se le persone che partecipano dell’università (docenti, discenti e personale tecnico amministrativo) sono considerate un bene unico, ciascuno di per sé, se la ricerca e il progresso sono ordinati a un bene sociale universale.

La neutralità, insomma, serve se sa che cosa proteggere e come proteggerlo, capendo quindi – come nel caso in questione in questi giorni – se interrompere o non cominciare dei rapporti di ricerca è un bene o un male per gli studenti. Non che debba imporre una visione unica del bene, ma deve almeno ammetterne l’esistenza, discuterne la natura, indicare una strada pluralista ma non contraria per raggiungerlo, insegnare la prudenza di ogni passo. Se la neutralità istituzionale resta solo un dovere non avrà più nessuna forza di richiamo perché sembrerà a tutti, soprattutto agli studenti, solo ipocrisia.

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