La carica dei laici contro il ddl Zan, «è illiberale»

Settanta associazioni si appellano al Senato. «Questa legge non ha alcun nesso con l’omofobia». Ricolfi contro la «competizione vittimaria». Terragni: «Così si apre la strada al transumanesimo»


Ddl Zan, il 6 luglio il Senato vota per la calendarizzazione della discussione (foto Ansa)

Ddl Zan, «sta succedendo un fatto eclatante». Mentre è muro contro muro e scintille nella maggioranza, intellettuali, giuristi, «autorevolissimi esponenti di culture diverse, riformista, femminista, liberale, cattolica, arrivano ai medesimi giudizi di illiberalità di molti passaggi attualmente contenuti nel testo del ddl Zan».

Si è tenuta ieri a Palazzo Madama la «conferenza d’ascolto» delle voci critiche alla legge che si trova all’esame della Commissione Giustizia del Senato. Un’iniziativa animata da 70 associazioni riunite dal network Polis Pro Persona e che alla luce dei contributi di Luca Ricolfi (scrittore, sociologo) e Marina Terragni (scrittrice, giornalista), dei giuristi Alberto Gambino (Presidente Scienza e Vita) e Filippo Vari (Centro Studi Livatino), nonché del professor Ryan T. Anderson di Washington, hanno scritto una lettera aperta ai senatori, chiedendo un incontro immediato e urgente alla Conferenza Capigruppo.

Ddl Zan, sette punti illiberali

Sette i punti illiberali sottolineati dalle associazioni, all’indomani dell’infervorato vertice convocato il 30 giugno per trovare un’intesa tra le forze di maggioranza. Intese impossibili e distanze incolmabili: senza convergenza tra Lega e Pd è rimasto confermato il ddl Zan come testo base in commissione Giustizia: avanzate proposte emendative e respinta la proposta di unificarlo al ddl Ronzulli, il vertice è stato aggiornato al 6 luglio, lo stesso giorno che il Senato voterà la calendarizzazione della discussione in aula a partire dal 13 luglio.

Sette punti afferenti la laicità dello Stato e il rispetto dei vincoli costituzionali. Il seminario, titolato “Contro le discriminazioni? Sì! Ma non così!” (disponibile qui sulla pagina Facebook di Polis Pro Persona) ha visto Alberto Gambino, presidente di Scienza&Vita, e il costituzionalista Filippo Vari, vicepresidente Centro Studi Livatino, dettagliare «gli ineludibili contrasti del ddl Zan, specie degli articoli 1, 2, 4 e 7, con la Costituzione e in particolare con gli articoli 21, 25, 9, 33, 30 e 7 della carta fondante la Repubblica». Un ddl che impone definizioni normative cogenti per la collettività: «Quando si applicherà una norma che non c’entra nulla con questo disegno di legge, il giudice potrà usarne il riferimento e qualificare come identità di genere un’identificazione percepita di sé in un contesto non legato alla discriminazione».

Dalle scuole alla procura

Dopo aver spiegato la portata micidiale del «combinato disposto di “istigazione” e “discriminazione”, una bomba atomica», «una fattispecie astratta che può rappresentare un potentissimo grimaldello nelle mani dei penalisti», Gambino si è soffermato in particolare sull’articolo 7 che istituisce la giornata nazionale contro l’omofobia nelle scuole e arriva a superare il paradigma costituzionale: non è più il genitore a educare e a delegare bensì una legge dello Stato a dare «attribuzione diretta del potere di definire i contenuti dell’educazione. Facendo venire meno il diritto della famiglia di decidere insieme alla scuola quali siano i contenuti delle attività extracurricolari».

Il presidente di Scienza&Vita sottolinea inoltre come a farsi interprete del principio di laicità tanto sbandierato dello Stato sia stato solo il Vaticano, «quella sulla violazione del Concordato non è la nota di uno stato estero ma di un mentore che ricorda al cittadino cosa è previsto nell’ordinamento civile italiano. Altro che intrusione: il Vaticano ha segnalato che esiste una legge e che va rispettata. E non si sarebbe neanche dovuto scomodare: a chiedere il rispetto della legge dovevano essere i cittadini, liberali e cattolici».

Il caso Rasanen in Finlandia

Quanto al fine che non giustifica i mezzi, il giurista Vari ha richiamato numerosi esempi dai paesi in cui una legge contro l’omofobia è già stata approvata, primo fra tutti il caso della parlamentare ed ex ministro dell’Interno Paivi Rasanen, accusata di crimini d’odio dal “ddl Zan finlandese.” Tutta colpa di un tweet del 2019 in cui la deputata, moglie di un pastore luterano, criticava la decisione della Chiesa di sponsorizzare il gay pride. E di un pamphlet, da lei firmato nel 2005, che spiegava la posizione della Bibbia e perché le relazioni omosessuali non possono essere approvate dalla Chiesa. Nessun crimine, eppure un giudice l’ha rinviata a giudizio con l’accusa di «incitamento all’odio» ai sensi della legge che ha aggiornato il codice penale introducendo «l’orientamento sessuale» nell’articolo che punisce «l’espressione di opinioni e altri messaggi che minaccino, diffamino e insultino certi gruppi».

Anderson, la piega americana

Esempi illuminanti sono stati forniti anche da Ryan T. Anderson, presidente dell’Ethics and public policy center di Washington che ha confermato tutte le implicazioni delle legislazioni già in essere in molti stati americani, dove la strada spianata all’autodeterminazione di genere mina la sicurezza e la privacy delle donne (dalla condivisione di bagni e spogliatoi fino a quella delle carceri), qualunque principio di equità e giustizia («il corpo è differenza, c’è equità nel negarla costringendo corpi femminili a competere con quelli maschili negli sport?») e di libertà: Anderson si sofferma in particolare sulla negazione dell’obiezione di coscienza a cui vanno incontro i medici alle prese con le transizioni, ma anche realtà educative e le agenzie di adozione.

Dal ddl Zan al transumanesimo

Perfetto l’intervento di Marina Terragni: «Ora il femminismo viene tacciato di transfobia quando propone di tornare al ddl Scalfarotto-Annibali. Un testo firmato dallo stesso Zan, che con due brevi articoli allargava la legge Mancino a omofobia e transfobia e che oggi troverebbe facilmente una maggioranza. Ma l’architrave del ddl Zan non è la lotta all’omofobia, bensì l’identità di genere e il suo ingresso a gamba tesa nelle scuole».

Non c’è da girarci intorno, «in tutto il mondo si sta battagliando sulla libera scelta del genere: Beppe Sala ha promesso di arrivarci al Pride di Milano, ma si battaglia in Spagna, Germania, Giappone. Nel Regno Unito è stata bloccata l’ormonizzazione dei bambini, negli Stati Uniti l’Equality Act arriverà al Congresso». Cosa c’entra, si chiede la giornalista, con la sacrosanta tutela di omosessuali e transessuali l’imposizione di una cultura, centrata su un individuo neutro, capace di arbitrio assoluto fino a decidere il proprio sesso? Bagni, carceri, quote lavorative e politiche, statistiche, l’autodeterminazione del genere non è altro che il perno di un ombrello del trasumano, sotto il quale ricadono «utero in affitto, commercio di gameti, ormonizzazione dei bambini. Non si tratta di cambiare le opinioni ma i corpi. E se la proposta è quella di avviarci al transumanesino non è vero che non c’è più tempo: abbiamo bisogno di tantissimo tempo per esercitare le nostre scelte».

Questa legge non è di sinistra

Ma è soprattutto Luca Ricolfi a spiegare perché non c’è nulla di laico, progressista, di sinistra e soprattutto di buon senso nel sostenere l’invasione etico-antropologica che il ddl Zan vorrebbe introdurre con l’imposizione di una legge che non ha nessi con la lotta all’omofobia. Premettendo che la riesumazione del ddl Scalfarotto-Annibali o il ddl Ronzulli ovvierebbero alle “emergenze” sbandierate da Zan e proponendo un emendamento Strossen (dalla femminista libertaria statunitense, pasionaria della libertà di parola che può essere limitata solo in base al “principio di emergenza”, cioè quando causi direttamente o minacci di causare determinati danni imminenti specifici e gravi) Ricolfi pone una domanda.

«La domanda che mi faccio è: ha senso cercare di combattere le discriminazioni identificando delle categorie protette? Se ci mettiamo su questa strada implicitamente produciamo nuove discriminazioni. Pensiamo a un maschio bianco non disabile e ateo: non rientra in nessuna categoria protetta, non è coperto dall’ombrello della “minoranza”».

La competizione vittimaria

Per Ricolfi c’è un difetto filosofico enorme nelle leggi che, a partire dalla Mancino, individuano i soggetti meritevoli di protezione: l’inevitabile moltiplicarsi in maniera arbitraria e illimitata della lista di categorie da proteggere. Morale? «Anziché proteggere la persona forniamo scudi in funzione della sua appartenenza. Non tuteliamo più una persona ma una categoria. Innescando una competizione vittimaria».

Secondo Ricolfi la distribuzione di patentini di appartenenza non porta alcuna difesa, solo nuovi attacchi. Con effetti paradossali, «pensiamo all’imbarazzo della sinistra sull’assassinio della pakistana Saman, uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato. Come condannare il gesto, quasi sicuramente commesso dai suoi famigliari, immigrati e islamici, cioè una categoria meritevole di protezione?». La sinistra l’ha risolta buttandola sul femminicidio. Cioè con l’aritmetica della vittima. «All’ala progressista, di cui purtroppo faccio parte, ricordo una cosa sola: nella testa della gente questa cultura del politicamente corretto e la sinistra sono diventati sinonimo o parte integrante dell’establishment. E negli Stati Uniti questa identificazione non solo non ha ostacolato violenza e discriminazioni, ma ha portato all’ascesa di Trump».

La lettera di 70 associazioni

«Ascoltando Ricolfi, Terragni, Gambino, Vari e l’esperienza statunitense di Anderson – hanno concluso le 70 associazioni – non vi sono dubbi che la lotto all’omofobia è una cosa, ma tutt’altra è lasciare disposizioni che ufficializzano per via legislativa la teoria dell’indifferenza sessuale, che la impongono con norme penali gravemente indeterminate, con l’effetto di violare la libertà di pensiero e di aprire una triste stagione di delazioni e di controllo del pensiero da parte delle Procure. Altra questione inaccettabile è la coartazione del ruolo dei genitori e delle scuole paritarie, di fronte all’obbligo che si vorrebbe imporre di propagandare il gender negli istituti scolastici di ogni ordine e grado».

Per questo hanno scritto una lettera, per questo hanno chiesto un incontro urgente al Senato «chiamato a non voltarsi dall’altra parte, ad ascoltare l’univocità delle tante voci che salgono dalla società e dalla cultura, giuridica e non, del Paese». Chiamato a salvare davvero la laicità dello Stato.

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