La sceneggiata di Serena Williams e la lezione di Osaka

La grande tennista americana perde la finale degli Us Open e accusa l'arbitro di «sessismo», il Nyt rincara la dose e accusa una pungente vignetta di «razzismo». La 20enne giapponese dà a tutti lezioni di stile

A nessuno piace perdere. Tanto meno se sei probabilmente la tennista più grande della storia. Ancora meno se ti ritrovi a 37 anni a giocarti la finale di un Grande Slam con una 20enne, un anno dopo aver dato alla luce un figlio, e se la vittoria ti permetterebbe di raggiungere nella classifica di tutti i tempi Margaret Smith Court. Parliamo di Serena Williams, ovviamente, e della sceneggiata contro l’arbitro di cui si è resa protagonista durante la finale degli US Open persa sabato contro Naomi Osaka. Ne è nata una polemica su sessismo, razzismo e #metoo assolutamente gratuita.

IL REGOLAMENTO. Partiamo dai fatti. Durante il secondo set l’allenatore della “Regina”, Patrick Mouratoglou, cerca di comunicare con lei dandole consigli e contravvenendo così al regolamento. L’arbitro Carlos Ramos, uno dei migliori in circolazione, dà quindi un avvertimento ufficiale alla tennista afroamericana. Passano pochi minuti, la Williams perde un game compiendo un errore banale e per la frustrazione getta la racchetta a terra, spaccandola. Ramos le dà un secondo avvertimento e infligge la penalità di un punto. La partita va avanti, Osaka gioca meglio, si porta in vantaggio nel set per 4-3 e Williams perde la testa, si dirige verso l’arbitro, lo insulta, lo accusa di essere un «ladro», mentre il pubblico applaude e la sostiene, tira in ballo sua figlia e di conseguenza l’arbitro la penalizza con la perdita di un game. Dopo la partita, la tennista accusa l’arbitro di avere «pregiudizi sessisti».

SESSISMO QUANDO FA COMODO. Posto che l’accusa di sessismo non sta in piedi perché il primo errore e la prima irregolarità (come ha ammesso il diretto interessato) sono stati compiuti dall’allenatore maschio della Williams, e la scelta dell’arbitro se anche fosse stata motivata da ragioni oscure è comunque andata a vantaggio di un’altra donna, Ramos si è comportato in modo ineccepibile. Regolamento alla mano, infatti, è previsto prima un avvertimento, poi la sanzione di un punto e poi la perdita di un game. Esattamente quello che ha fatto l’arbitro, confermandosi un ottimo professionista (per quanto forse eccessivamente rigido).

«DISCRIMINAZIONE RAZZISTA». Serena è grande, forse la più grande: ha vinto 23 titoli del Grande Slam, 5 Master Cup, 19 tornei “Premier”, 21 titoli Tier I e Tier II, oltre alle Olimpiadi di Londra nel 2012 e si è portata a casa negli anni 80 milioni di dollari in premi. Però sabato ha perso. Non perché l’arbitro era sessista, ma perché Osaka è stata più brava. La stampa progressista è accorsa in sua difesa, umiliando così un’altra donna, la giapponese. Il New York Times ha parlato di «discriminazione sessista» e poi del «razzismo che dipinge le donne afro-americane come eccessivamente aggressive, impulsive, fisicamente intimidatorie e ultimamente sub-umane».
VIGNETTA GALEOTTA. Addirittura sub-umane. Perché? Perché un disegnatore australiano, Mark Knight, ha osato pubblicare lunedì sull’Herald Sun una vignetta satirica prendendo in giro Serena Williams, che infuriata fa a pezzi la sua racchetta, mentre l’arbitro spiega a Osaka: «Non puoi semplicemente lasciarla vincere?». La mente di Harry Potter J. K. Rowling lancia per prima l’accusa di razzismo, puntando sulle labbra troppo pronunciate della caricatura della Williams, e il web non si ferma più.
LA LEZIONE DI OSAKA. Knight non si è difeso ma si è limitato a commentare: «Il mondo è letteralmente impazzito», mentre tutti i giornali del mondo innalzavano la Williams a nuova paladina dei diritti delle donne e portabandiera della battaglia contro il razzismo, sminuendo, ribadiamo, la grande vittoria della 20enne Osaka. Williams rimarrà per sempre una delle più grandi tenniste di tutti i tempi e forse con la sua sceneggiata ha semplicemente fatto i primi passi nel suo nuovo ambiente professionale: quello dei soloni che si fanno pagare profumatamente per dare lezioni agli altri su presunti diritti violati. Invece di gridare al sessismo, però, avrebbe dovuto riflettere sulla grande lezione di stile che le ha impartito la giapponese, dichiarando emozionata a fine partita al centro dello stadio americano: «So che tutti facevate il tifo per Serena, mi spiace che sia finita così. È sempre stato il mio sogno affrontare Serena in finale: sono grata di aver potuto giocare con te, grazie!».

@LeoneGrotti


Foto Ansa

Exit mobile version