La prossima sarà una manovra difficile

Rassegna ragionata dal web su: la politica di bilancio del governo Meloni tra rallentamento dell’economia, promesse elettorali ambiziose e possibili sponde in Ue, Bce, Banca d’Italia

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (foto Ansa)

Sul sito di Tgcom 24 si scrive: «Cala il Pil in Italia e l’economia frena più del previsto. Nel secondo trimestre del 2023 il prodotto interno lordo, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, diminuisce dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente e cresce dello 0,4 per cento sul secondo trimestre del 2022. Lo rende noto l’Istat, che ha rivisto al ribasso la stima diffusa in via preliminare il 31 luglio di una riduzione congiunturale dello 0,3 per cento e di una crescita tendenziale dello 0,6 per cento. La variazione acquisita per il 2023 è pari a +0,7 per cento».

L’Italia è riuscita in una prima fase grazie al suo straordinario sistema di piccole imprese ad assorbire i colpi inferti da due anni di Covid, dalla guerra in Ucraina e dalle scelte scriteriatamente stataliste (tra superbonus e reddito di cittadinanza) assunte dalle due presidenze Conte, scelte strettamente collegate a un’idea di nazione-espressione geografica consegnata alla bontà di francesi e tedeschi, e scelte che Mario Draghi era solo riuscito parzialmente a correggere. Ora, in una seconda fase, la ripresa dell’export, che ci aveva aiutato a ripartire, è messa in difficoltà dalla crescente crisi di Germania e Cina (due mercati decisivi per i nostri prodotti) e dalla politica incerta che Christine Lagarde ha finora seguito nella Bce.

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Su Huffington Post Italia Carlotta Scozzari scrive: «Si torna allo schema precedente sul nome di colui che, in rappresentanza dell’Italia, salirà al vertice della Bce. La candidatura dell’ex ministro dell’Economia, Daniele Franco, perde così quota per lasciare spazio al nome a cui il governo Meloni aveva già pensato: Piero Cipollone. In serata, arriva anche la conferma del presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe: “L’Italia è l’unico paese ad avere proposto un candidato” nel comitato esecutivo della Banca centrale per la sostituzione di Fabio Panetta».

Differentemente dalle crisi del 2008 e del 2011, in parte grazie all’ancora consistente influenza di Draghi e alla connessa sponda americana, il governo Meloni lavora in forte collegamento con Banca d’Italia e con le personalità che ci rappresentano in istituzioni come la Bce.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Ruben Razzante scrive: «In generale si percepisce una certa impronta statalista negli interventi in economia, a discapito di una reale apertura liberale al mercato, in un momento in cui bisognerebbe incentivare in tutti i modi il rilancio produttivo, l’iniziativa economica privata e i consumi. Inoltre, si registrano alcune iniziative che sembrano contraddire lo spirito anti-casta che alcune forze di questo governo dichiaravano di incarnare. Si pensi alla volontà di ripristinare le Province o all’atteggiamento tenuto sul tema vitalizi. Senza contare l’intenzione, dichiarata da Meloni, di investire un ente come il Cnel, sfuggito per miracolo in anni passati alle molteplici azioni di spending review, di un compito così delicato come quello di individuare soluzioni praticabili in materia di salario minimo. Tutti interventi che finirebbero per appesantire la struttura dello Stato e per accreditare un’idea di restaurazione anziché di rinnovamento. Un governo che dice di voler costruire un’Italia credibile fuori dai confini nazionali non può permettersi simili passi falsi».

Se si guarda agli obiettivi strategici del governo (famiglia, autonomie territoriali, riduzione della pressione fiscale, centralità dell’occupazione rispetto all’assistenzialismo) mi pare che il governo Meloni punti più sulle imprese private, su un rilancio della società civile e su una diffusa sussidiarietà che su una centralità statalistica. Anche se certamente l’esecutivo in carica non segue ciechi dogmi liberistici, tenendo conto come alla nostra produzione industriale siano necessarie infrastrutture efficienti (e sull’energia l’esecutivo sta innanzi tutto facendo un buon lavoro) e come i nostri processi di accumulazione capitalistica richiedano una struttura finanziaria di credito a medio e lungo termine in parte del tipo di quella disgregata dopo il 1992. E su questo campo non è stato ancora fatto molto.

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Su Formiche Salvatore Zecchini scrive: «Anche nel prossimo autunno, per il nuovo governo l’agenda economica si preannuncia particolarmente difficile, perché alcuni grossi nodi verranno al pettine con poche possibilità di rinvio nel tempo. Il primo riguarda la consueta manovra di autunno che si articolerà nell’aggiornamento del Def e poco dopo nella presentazione della legge di bilancio per il 2024, ma che dovrà muoversi entro limiti più stretti che nello scorso triennio per il ridotto margine di disponibilità di risorse pubbliche. Secondo gli impegni presi nell’ultimo Def la spesa pubblica in disavanzo non dovrebbe eccedere il 3,7 per cento del Pil e il rientro dall’eccesso di debito pubblico accumulato durante la pandemia dovrà materializzarsi in una sua riduzione di almeno 0,7 per cento del Pil. Ad accentuare le difficoltà stanno, da un lato, un nuovo fabbisogno finanziario stimato in circa 30 miliardi per iniziare a realizzare gli impegni presi con gli elettori e, dall’altro lato, la sostanziale stagnazione della crescita dell’economia italiana ed europea, che rallenta il gettito fiscale, nonostante il correre dell’inflazione. Giustamente il ministro Giorgetti ha voluto avvertire in anticipo gli italiani e i partiti al governo che non si potranno soddisfare tutte le richieste, sottolineando che occorre concentrarsi sulle priorità. Tra queste, in prima posizione pone il sostegno ai redditi medio-bassi, incluso l’alleggerimento strutturale del cuneo fiscale sulle retribuzioni medio-basse, e la promozione della crescita. Sul primo si conosce la portata e il probabile costo all’anno (9-10 miliardi), mentre sulla seconda si sa poco perché diverse le proposte ma incerta la priorità di ciascuna. Il clima pre-elettorale non aiuta a concentrarsi sulle misure che possiedono la più alta capacità di incentivare la crescita, ovvero su investimenti, rinnovamento tecnologico ed attuazione accelerata delle opere previste nel Pnrr».

La politica di bilancio del governo Meloni sarà affrontata in condizioni di grande difficoltà. Per non perdere rapidamente il consenso raggiunto nel settembre 2022, lo schieramento di centrodestra dovrà riuscire a conquistare una sponda europea contro gli eccessi di austerità, dovrà spiegare in modo convincente come un programma di legislatura potrà consentire di raggiungere gli obiettivi definiti dalla coalizione di centrodestra in campagna elettorale, e dovrà comunque dire sempre la verità anche su eventuali propri errori, limiti e inefficienze.

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