La guerra dell’odio in Bangladesh e tre domande su islam, petrolio e Occidente

La situazione politica e sociale è drammatica. Storia e attualità di uno dei paesi più poveri del mondo raccontata da un grande giornalista missionario

Tratto dal blog di Piero Gheddo Da poco meno di due anni il Bangladesh, il terzo paese islamico più popolato dopo Indonesia e Pakistan, è in preda ad una “guerra dell’odio” (com’è stata definita) che sta affossando l’economia e il vivere civile. Non è una guerra di eserciti, ma un susseguirsi di scioperi e manifestazioni spesso violenti, che bloccano i trasporti e paralizzano l’economia di base; scioperi generali di più giorni dalle 6 alle 18 e i veicoli che si muovono rischiano di essere bruciati, i viaggiatori battuti o uccisi. Il Bangla è uno dei paesi più sfortunati e poveri del mondo: 160 milioni di abitanti in un territorio esteso meno di metà dell’Italia, con un reddito medio pro-capite di 678 dollari l’anno (l’Italia 36.250). Due anni di scioperi (hartal) e di scontri stanno riducendo il popolo alla fame e numerose ditte chiudono perché non riescono più a vendere. Ogni giorni i caseifici buttano via circa 500.000 litri di latte invenduto, frutta e verdura marciscono sugli alberi o nei campi, le farmacie non hanno medicine, le ditte straniere che non possono esportare stanno lasciando il paese. La stessa sopravvivenza di un popolo è in pericolo!

Tutto nasce dalla guerra per l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan nel 1971, condotta dalla Awami League, moderata, laica e socialista, il cui capo Mujibur Rahman diventa il primo Presidente, con un popolo festante e unito contro le prepotenze dei pakistani. L’Occidente salutava il primo paese islamico con libertà politica, religiosa e di stampa. Nel 1975 Mujibur Rahman è ucciso e seguono lunghi anni di dittature militari, che favoriscono l’islam e l’entrata in scena dei partiti islamisti. Il Bnp (Bangladesh National Party) all’opposizione li accoglie, specialmente la Jamaat-islam, poichè il popolo è contrario al laicismo e a forme di modernità e di libertà non secondo la tradizione islamica. Si formano così due coalizioni di partiti, la Awami Leage capeggiata da Sheik Hasina (figlia del padre della patria Mjibur Rahman) e il Bnp di Begum Khaleda Zia (figlia del primo dittatore militare Zia-ur Rahman), due donne che si fronteggiano da venti e più anni, nemiche irriducibili e mortali (“si odiano cordialmente” dice la gente).

Le elezioni del 1991 sanciscono il ritorno alla legalità costituzionale e si alternano al potere le coalizioni del BNP e dell’Awami League (AL). Intanto, arrivano copiosi e continui finanziamenti dai paesi del petrolio (Arabia, Kuwait, Qatar, ecc.), nascono piccole moschee in ogni angolo del paese e in ogni via cittadina, crescono le scuole coraniche, gli imam che guidano la preghiera del venerdì martellano sul concetto che l’unica soluzione alla crisi è un ritorno all’islam duro e puro dei tempi di Maometto, con i costumi di allora, lapidazione, taglio della mano, fustigazioni, la condizione della donna oggi inaccettabile. Nel 2008 la coalizione dell’AL stravince le elezioni e conquista tre quarti dei seggi parlamentari. Seguono anni di dominio indisturbato e occupazione dilagante degli spazi politici, amministrativi, giudiziari ed economici da parte dell’AL e dei suoi alleati. Errore fondamentale: il governo AL avvia processi a personalità dell’islam, accusate di crimini nella guerra del 1971; tutto lo stato maggiore del Jamaat-islam e di qualche pezzo grosso del Bnp finiscono in carcere, avanzano le proposte di condanne a morte, il predicatore più popolare del Jamaat è condannato all’ergastolo. I partiti islamisti organizzano manifestazioni e scioperi di protesta, il governo risponde con durezza e prepara la messa al bando dei partiti islamici, vuol cambiare la Costituzione e la scadenza elettorale a proprio favore. Il Bnp segue la corrente del Jamaat e degli altri partiti islamici della coalizione, facendo leva sulla corruzione dei quadri dell’AL.

Questa sceneggiata avviene soprattutto nelle città, il popolo dei campi subisce ma, vivendo nella miseria e nell’analfabetismo (43% dei bangladeshi), è anche pronto a seguire la corrente islamica, gli imam dei villaggi hanno importanza decisiva, i giovani conoscono solo l’islam imparato nelle madrasse. I moderati, studenti, intellettuali e classe media, organizzano anche loro proteste e scioperi, chiedono la condanna a morte di tutti i criminali di guerra, la messa al bando del Jamaat e degli altri partiti islamisti, il ripristino della Costituzione con la quale è nato il Bangladesh, secondo la quale il Bangla è un paese laico che gode di libertà religiosa e politica. I partiti islamici chiedono la condanna a morte degli “atei” che vanno contro l’islam.

Dalla primavera 2013 continua questo braccio di ferro fra laici ed estremisti islamici, i militari per il momento non intervengono e il Bangladesh sta diventando un paese sempre più invivibile per tutti. Le elezioni politiche del 5 gennaio 2014 hanno registrando la vittoria con ampio margine dell’Awami League già al governo, ma la coalizione del Bnp si era ritirata e al voto hanno partecipato circa il 18% degli aventi diritto, poiché gli islamisti avevano minacciato chi si recava al voto. Giungono notizie di cattolici e indù picchiati o uccisi mentre andavano a votare, fra le vittime anche il fratello di un vescovo; assaltati villaggi, bruciate case ed edifici religiosi.

La situazione del Bangladesh è drammatica e sintomatica della situazione in cui si trovano le comunità islamiche nel mondo globalizzato e pongono tre interrogativi. Primo: ritornare all’islam puro e duro dei tempi di Maometto o accettare di rileggere e interpretare il Corano e gli “hadit” di Maometto per trasferire una grande religione nel mondo moderno? Secondo: è tollerabile che gli immensi, smisurati capitali che provengono dal petrolio continuino a guidare pesantemente la politica di quasi tutti i trenta e più paesi dell’islam e anche le comunità islamiche minoritarie in altri paesi? Terzo: perché questi temi sono praticamente tabù nei mass media internazionali?

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