La Grecia è solo il capro espiatorio del fallimento europeo

L'egoismo dei greci è la nemesi dell'egoismo franco-tedesco che è congenito a tutti i piani di “salvataggio” del paese ellenico. Non a salvarla hanno pensato in questi mesi i paesi dell'euro, ma a salvare se stessi (Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda) e le proprie banche (Francia e Germania) esposte con Atene

Come dice il proverbio? Chi la fa, la aspetti. La Francia, che per bocca del portavoce del presidente Nicolas Sarkozy ha definito il referendum greco sul piano di salvataggio europeo «irrazionale e pericoloso», e poi con una dichiarazione del capo dello Stato francese in persona ha ammorbidito appena un po’ i toni sottolineando che «dare la parola al popolo è sempre legittimo, ma la solidarietà di ogni paese dell’eurozona non potrebbe esercitarsi senza che alcuno consenta agli sforzi necessari», è lo stesso paese che sei anni fa bocciò con un referendum popolare (come pure l’Olanda due giorni dopo) il progetto di Costituzione europea. Oggi definisce “irrazionale e pericoloso” e contrario allo spirito di solidarietà europeo un atto politico che essa stessa sei anni fa abbracciò con entusiasmo, in nome dei diritti della sovranità nazionale. La quale però non esiste solo quando fa comodo a Parigi e a Berlino, ma esiste per tutti, perfino per gli euroreprobi greci. Perciò è ipocrita menare scandalo per la decisione di Atene.

Se dopo l’annuncio del primo ministro greco Gheorghe Papandreu l’euro è in pericolo e i debiti sovrani di mezza Europa, incluso quello italiano, sono a rischio default, la colpa non è degli inconcludenti (ma non certo stupidi) greci, ma del modo disfunzionale, elitario e opaco in cui negli ultimi quindici anni si sono costruite le istituzioni dell’Unione Europea e dell’Unione monetaria europea. Oggi non abbiamo né una vera unione politica, né un vero rispetto per la sovranità degli stati membri della Ue. Le istituzioni che regolano le decisioni politiche e quelle che, come la Bce, regolano le decisioni intorno all’euro, non sono modellate né nei termini di un’unione politica e di una banca centrale che funzionino come le unioni federali e le banche centrali del resto del mondo, né in quelli di strumenti di una coalizione di stati indipendenti collegati fra loro da trattati di cooperazione.

Non sono né carne, né pesce, per un motivo che Sarkozy (e Merkel) dovrebbero conoscere bene: l’assetto attuale consente a tedeschi e francesi di governare la Ue per mezzo di un direttorio franco-tedesco del quale i ripetuti summit fra il presidente francese e la cancelliera tedesca nel contesto della crisi del debito sovrano non sono che l’espressione cronologicamente più recente. Permette a Berlino di continuare a pensare e ad agire come se la Bundesbank esistesse ancora, e avesse solo cambiato di nome e di lingua madre del suo presidente: adesso si chiama Bce e alla sua testa si sono alternati un olandese, un francese e ora un italiano.
Anzi, di più: la Bce è una Bundesbank meno l’autonomia dal governo in carica, il sogno di ogni politico tedesco ambizioso. Grazie agli accordi bilaterali fra Francia e Germania, la Bce in questi anni ultimi tre anni ha mantenuto alto il costo del denaro anche in piena crisi della crescita economica di quasi tutti i paesi della Ue, perché ai tedeschi importa solo di avere un’inflazione molto bassa. Nel frattempo la Germania ha fatto ostruzione sul tema della piena unione fiscale, l’unica mossa sensata se si voleva che l’euro funzionasse per tutti e non pesasse come una zavorra mortale sui bilanci dei paesi più indebitati. Niente eurobond, nessuna forma di europeizzazione dei debiti degli stati, ecc. Perché in quel caso la Germania avrebbe dovuto patire anche svantaggi, e non solo vantaggi dalla moneta unica europea.

L’egoismo dei greci, che oggi mettono in pericolo gli equilibri finanziari del continente europeo e forse non solo di quello, è la nemesi dell’egoismo franco-tedesco che è congenito a tutti i piani di “salvataggio” della Grecia. Non a salvare la Grecia hanno pensato in questi mesi i paesi dell’euro, ma a salvare se stessi (Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda) e le proprie banche (Francia e Germania) esposte con Atene.

Tutti hanno sempre saputo che, ferma restando la gestione dell’euro da parte della Bce, la Grecia è condannata alla bancarotta. I vari piani di aiuto servono semplicemente a rendere meno duro il colpo per le banche francesi e tedesche creditrici dello Stato greco e a guadagnare tempo affinché Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo riescano alzare le loro difese, che non possono fare a meno di una ripresa della loro crescita.
I vari piani per la Grecia non funzioneranno mai, a meno che non contemplino l’annullamento puro e semplice del debito esterno greco, per la semplice ragione che non si è mai visto funzionare un piano di austerità che non abbinasse uno stimolo monetario (svalutazione della moneta, tasso di prestito invitante, ecc.) a una stretta fiscale poderosa e tagli draconiani della spesa pubblica. Alla Grecia si è imposto il mai visto in cambio di un po’ di prestiti ponte per pagare gli stipendi della Funzione pubblica, e il risultato è sotto gli occhi di tutti: il Pil è crollato del 14-16 per cento dall’inizio della crisi e continua a sprofondare e, da quando è stata data attuazione al programma della troika Ue-Bce-Fmi, il debito greco si è impennato e ha quasi raggiunto il 180 per cento. Se l’ultimo accordo fra Grecia e Ue supererà lo scoglio del referendum e poi verrà attuato, il debito greco scenderà gradualmente fino ad attestarsi al 120 per cento del Pil nel 2020, dopo nove anni di depressione

È fantascientifico pensare che in quei nove anni e poi dopo il 2020 la Grecia sia capace di pagare il suo debito da sé. Papandreu non può prendersi da solo la responsabilità di dire queste cose e di trarne le conseguenze, perciò lo lascerà fare al popolo sovrano, la cui decisione è facile da immaginare: la Grecia dirà no al piano europeo, andrà in default e soffrirà tantissimo, ma soffriranno anche tutti gli altri paesi europei che credevano di poter sacrificare la Grecia per salvare se stessi, e almeno Atene recupererà la sovranità nazionale.

L’unico vantaggio per tutti è che finalmente suonerà a morto la campana per un certo modo di fare l’Unione Europea, quello dei fatti compiuti, delle decisioni prese senza consultare i popoli, del governo di fatto del direttorio franco-tedesco. Il prezzo sarà altissimo, ma era ed è inevitabile che prima o poi i nodi venissero al pettine.

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