La difficile posizione di Israele tra sostegno all’Ucraina e difesa della propria sicurezza

Lo Stato ebraico assiste Kiev a livello umanitario e ha condannato l’aggressione russa, ma frena su armi e sanzioni. L’importanza vitale di mantenere un equilibrio. Parla il giornalista israeliano Carmel Luzzatti

Uno striscione di sostegno per il popolo ucraino nel centro di Gerusalemme (foto Ansa)


Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina lo Stato di Israele ha cercato di mantenere una posizione bilanciata, da un lato condannando l’aggressione di Mosca e inviando aiuti umanitari, dall’altro mantenendo aperti i canali con la Russia. Una postura definita da molti in Europa erroneamente “neutrale”, ma che appare come l’unica possibile per un paese da sempre circondato da nazioni ostili e con una popolazione che vede quasi un milione di immigrati da paesi ex sovietici, di cui l’80 per cento di provenienza russa.

Israele non è “neutrale”

Tempi, Carmel Luzzatti, giornalista israeliano già corrispondente estero da Israele per Rai e Sky, racconta la percezione della guerra in Ucraina nello Stato ebraico e spiega perché è sbagliato e semplicistico definire “neutrale” la posizione di Israele davanti alla crisi. «Israele non è neutrale, assiste l’Ucraina a livello umanitario come altri paesi in Europa», afferma il giornalista, ricordando che lo Stato ebraico ha aperto un ospedale in territorio ucraino a Mostyska, fuori Leopoli, unico paese a fornire questo tipo di sostegno sul campo, oltre ad aver accolto profughi ucraini.

Fin dall’inizio dell’invasione, lo scorso 24 febbraio, il governo israeliano ha condannato l’aggressione, in primis con il ministro degli Esteri Yair Lapid, e in questi giorni ha preso una posizione netta sui massacri di Bucha. Tuttavia, si è proposto allo stesso tempo come mediatore tra Kiev e Mosca come dimostrato dalla visita del premier Naftali Bennett in Russia dello scorso 5 marzo – primo leader di un paese straniero a recarsi in visita in Russia dopo l’avvio delle operazioni militari – e dai continui colloqui telefonici con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

No alle armi e sì all’aliyah per ebrei russi e ucraini

Per Luzzatti su due punti Israele non è disposto a cambiare posizione: la vendita di armi e la possibilità di fornire sia agli ebrei ucraini che agli ebrei russi la possibilità di compiere l’aliyah, la cosiddetta “salita”, ovvero l’immigrazione nello Stato di Israele. Per quanto riguarda la vendita di armi all’Ucraina, secondo Luzzatti, pesano diversi fattori. In primo luogo, gli accordi con la Russia di tipo internazionale, che qualsiasi governo israeliano dovrà mantenere. Il giornalista ricorda infatti come Mosca sia molto più coinvolta in Medio Oriente rispetto agli Stati Uniti (ormai praticamente assenti) e all’Europa, con un approccio che non è sempre favorevole allo Stato ebraico.

La Russia ha rapporti stretti con l’Iran – principale nemico di Israele – ed è presente in Siria, ma consente allo stesso tempo alle forze di difesa israeliane di attaccare i convogli che trasportano armi dal territorio iraniano entro i confini siriani e in Libano. A nord, Israele deve fare i conti con due nemici: il movimento sciita Hezbollah in Libano, che minaccia con razzi e ora anche droni il territorio israeliano; i miliziani filoiraniani attivi in Siria nei pressi delle Alture del Golan. «Sono in vigore accordi che qualsiasi governo israeliano dovrà mantenere. Ogni raid israeliano in Siria è coordinato a livello giornaliero con le forze russe», afferma Luzzatti, precisando che Israele dovrà mantenere questo tipo di libertà sui cieli siriani per la sua sicurezza.

Le comunità ebraiche in Ucraina e Russia

Il giornalista ricorda come il governo ucraino abbia espresso più volte delusione per il rifiuto di Israele a vendere armi. Zelensky, ebreo come anche altri esponenti del suo governo, ha accusato Israele di non aver venduto il sistema di difesa antimissile Iron Dome all’Ucraina. Tuttavia, come osserva Luzzatti, il sistema Iron Dome, sviluppato da Israele per difendersi dagli attacchi di missili a corta e media gittata, è stato finanziato dagli Stati Uniti e tocca pertanto Washington autorizzarne la vendita, e a oggi tale permesso non è mai giunto. Inoltre, secondo il giornalista, il sistema in una situazione di guerra è di fatto difficilmente impiegabile, perché necessita di essere sviluppato e di un complesso addestramento per gli operatori.

Altro discorso è quello “ebraico”. Luzzatti ricorda che sia in Ucraina che in Russia vivono grandi comunità ebraiche. Secondo dati del Congresso ebraico europeo, prima dell’invasione russa risiedevano in Ucraina dai 360 mila ai 400 mila ebrei. In base a stime dell’Institute for Jewish Policy Research gli ebrei in Russia erano 179.500 nel 2016, numero che sale a 380 mila per la popolazione ebraica cosiddetta allargata, che tiene conto anche di familiari non ebrei. In questo contesto, «la prima missione di qualsiasi governo israeliano è assicurare che, nel momento in cui ce ne sarà bisogno, potrà aiutare gli ebrei a compiere l’aliyah in qualsiasi posto al mondo», fa notare Luzzatti. «Se gli ebrei devono scappare dall’Ucraina, il governo israeliano dovrà assicurare un corridoio umanitario o voli umanitari coordinati con la Russia per consentire loro di giungere in Israele», aggiunge.

Anche gli Usa chiedono equilibrio a Israele

Luzzatti fa notare inoltre che anche lo stesso segretario di Stato Usa, Antony Blinken, durante la sua visita in Israele del 27 marzo per partecipare al vertice nel Negev (a cui hanno preso parte i ministri degli Esteri di Emirati, Egitto e Marocco) ha affermato che per gli Stati Uniti Israele deve mantenere una posizione che gli consenta di poter dialogare con entrambe le parti. «A livello di opinione pubblica ci sono voci che accusano il governo di non essere troppo attivo contro la Russia, in parte dalla sinistra, ma si tratta per lo più di opinionisti, non politici», spiega Luzzatti.

Il cronista israeliano sottolinea che un punto controverso è quello relativo alle sanzioni contro la Russia. Finora Israele ha implementato alcune delle sanzioni bancarie adottate dagli Stati Uniti e dai membri dell’Unione Europea contro le istituzioni finanziarie russe, ma il governo non ha adottato alcuna politica sanzionatoria ufficiale. Per il giornalista, una delle ragioni alla base di questa posizione è il timore di Israele per lo strumento delle sanzioni internazionali, legato in particolare al rischio ipotetico di essere in futuro esso stesso sottoposto a restrizioni economiche da parte della comunità internazionale in caso di una eventuale nuova crisi nella Striscia di Gaza.

Gli oligarchi russi di origine ebraica

Un ulteriore punto che ha attirato critiche nei confronti di Israele, prosegue Luzzatti, è il trattamento riservato agli oligarchi di origine ebraica. Il più famoso è sicuramente Roman Abramovich, ma sono diversi i magnati di origine ebraica provenienti dai paesi ex sovietici (non solo dalla Russia dunque) che hanno acquisito la cittadinanza o la residenza israeliana in anni recenti. Uno degli ultimi è Mikhail Prokhorov, indicato come la 12esima persone più ricca della Russia, considerato un rivale di Putin e pertanto non sottoposto a sanzioni. Lo scorso 4 aprile, l’oligarca è giunto in Israele per compiere aliyah e ha ricevuto la cittadinanza. «Queste persone non sono solo cittadini russi, sono cittadini israeliani. Non è possibile non farli entrare in un paese di cui hanno la cittadinanza», sottolinea Luzzatti.

Un caso complesso da non semplificare

Il caso israeliano risulta quindi molto complesso e non è possibile fare semplificazioni. Come ribadisce Luzzatti, in Israele dagli anni Novanta sono giunti oltre un milione di immigrati provenienti da paesi dell’ex Unione Sovietica, di cui l’80 per cento di origine russa. Questa particolare situazione di Israele vede anche dibattiti fra le varie posizioni. «Ognuno guarda questa guerra in modo diverso. Molti ebrei russi capiscono le ragioni di Vladimir Putin meglio di noi, mentre altri sono fortemente contrari a questa azione violenta del governo di Mosca», afferma. «Molti degli immigrati russi non sono pro-Putin, al contrario criticano il presidente russo», sottolinea il giornalista.

Un esempio è quello di Leonid Nevzlin, uno dei proprietari del noto quotidiano israeliano Haaretz, oligarca russo nato a Mosca nel 1959, che ha compiuto l’aliyah nel 2003 ed è noto per la sua posizione contraria al presidente Putin. Altro esempio è l’emittente Channel 9, rivolta agli israeliani di lingua russa (vi sono almeno 1,3 milioni di russofoni nello Stato ebraico), bloccata in Russia dopo il disegno di legge firmato da Putin che criminalizza la diffusione intenzionale di quelli che Mosca considera contenuti “falsi”.

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