Israele-Gaza. Solo i folli continuano a ripetere le stesse azioni aspettandosi risultati diversi: serve un cambio di prospettiva

Finché ebrei e arabi giustificheranno i propri atti senza giudicarli alla luce delle loro conseguenze, nessuna soluzione sarà possibile. La lezione di Izzeldin Abuelaish, medico palestinese che ha perso tre figlie per le bombe israeliane

Caratteristico della follia è continuare a ripetere le stesse azioni aspettandosi un risultato diverso. Questa definizione dell’infermità mentale, spesso citata da Einstein, descrive perfettamente quello che sta succedendo fra Israele e Gaza da tre settimane, fra israeliani e palestinesi da quasi ottant’anni.

Né il terrorismo né la sua repressione indiscriminata producono la resa dell’avversario e quindi la vittoria definitiva. Producono invece i risultati che, nel conflitto israelo-palestinese, ricorrono ormai da ottant’anni: lutti, dolore, rabbia, odio, desiderio di vendetta, frustrazione, angoscia, depressione, nuova violenza. L’eterno ritorno del medesimo orrore, solo con vittime sacrificali sempre nuove.

Anche se per ipotesi, grazie a questa operazione militare voluta dal governo Netanyahu, Israele riuscisse a schiacciare la testa del serpente Hamas, la fiaccola della lotta armata verrebbe ripresa da altri soggetti politico-militari che capitalizzerebbero l’umiliazione e la rabbia di centinaia di migliaia di palestinesi che hanno perso case e parenti a causa della guerra. Anche se ottenesse la riapertura del valico di Rafah e dei tunnel sul versante egiziano attraverso i quali si rifornisce di armi, infliggesse perdite significative all’esercito israeliano e riuscisse a colpire coi suoi razzi Tel Aviv e altre città, Hamas non piegherebbe di un millimetro l’istinto e la forza di autodifesa che dai giorni dell’Olocausto detta i comportamenti dello Stato ebraico e prima di esso dei suoi fondatori.

Con tutta evidenza, servirebbe un modo nuovo di pensare, da una parte e dall’altra. Una discontinuità con la coazione a ripetere. Un popolo palestinese che lotta per i suoi diritti solo con metodi non violenti e un popolo israeliano che crede talmente nelle sue ragioni da assumersi il rischio di dare fiducia ai palestinesi con gesti politici coraggiosi sono oggi solo immagini ideali, etichettabili come utopia, ma apparirebbero opzioni di puro realismo se gli uni e gli altri decidessero di intraprendere una revisione critica ciascuno della propria storia.

Fino a quando israeliani e palestinesi continueranno in prima battuta a giustificare i propri comportamenti, e non a giudicarli alla luce delle loro conseguenze nel tempo, nessuna soluzione reciprocamente accettabile sarà possibile: questo lo sanno bene tutti coloro che, per molti anni, hanno inutilmente cercato di favorire trattative fra le parti. Il cambiamento di prospettiva deve venire dai protagonisti del conflitto: il ruolo di chi sta fuori deve essere quello di incoraggiare e favorire tutte le leadership e le figure morali, nei due campi, che incarnano un approccio diverso.

Come Izzeldin Abuelaish, il medico e padre palestinese che perse tre figlie e una nipote a causa dell’Operazione Piombo Fuso, autore del libro Io non odierò e promotore della fondazione Daughters for Life per l’educazione delle ragazze arabe. È lui che ha scritto su un giornale britannico, a commento degli orrori di Gaza, «la follia, come diceva Einstein, è continuare a rifare la stessa cosa aspettandosi un risultato diverso».

@RodolfoCasadei

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