Iraq, Sako: «Resterò patriarca fino a quando non mi uccideranno»

Il patriarca caldeo ha lasciato Baghdad ed è arrivato a Erbil per sfuggire alle Brigate Babilonia, che vogliono assassinarlo e impossessarsi dei beni della Chiesa con il benestare del presidente della Repubblica

«Voglio rassicurare i cristiani e gli iracheni: non cederò mai a minacce e a falsità. Il Patriarca rimane tale finché Dio glielo concede o la milizia babilonese non lo uccide». Le parole utilizzate dal cardinale Louis Raphael I Sako all’arrivo in Kurdistan, dove è stato costretto a trasferirsi da Baghdad, confermano quanto sia grave la situazione in Iraq, dove il patriarca sta subendo un «attacco senza precedenti», per utilizzare gli stessi termini scelti dal patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa.

La campagna diffamatoria contro Sako

Il patriarca Sako è stato costretto a lasciare la capitale del paese dopo che contro di lui è stata orchestrata una campagna diffamatoria con gravi risvolti politici. Prima infatti il leader del Movimento Babilonia, Rayan al Kaldani, lo ha accusato di aver venduto beni della Chiesa caldea e di aver trasferito milioni di dollari su un conto corrente personale in Canada.

Poi il presidente della Repubblica iracheno, Abdul Latif Rashid, ha cancellato il decreto 147, che riconosceva il patriarca caldeo come «capo della Chiesa e custode delle sue proprietà».

«Vogliono espropriare i beni della Chiesa»

Come dichiarato a Tempi da monsignor Thabet Yousif, vescovo caldeo di Alqosh, dietro l’inedita cancellazione del decreto ci sarebbe il tentativo da parte di Al Kaldani di espropriare i beni della Chiesa caldea.

Il leader del Movimento Babilonia si è aggiudicato alle ultime elezioni quattro parlamentari sui cinque riservati per la minoranza cristiana. A lui fa riferimento la fazione armata delle Brigate Babilonia, nata durante l’invasione dell’Isis, che i cristiani accusano di voler creare una regione autonoma nella Piana di Ninive. Per quanto si spacci come rappresentante dei cristiani, “Rayan il caldeo” è accusato di guidare una milizia alleata agli sciiti e di aver trovato accordi con altri partiti per far eleggere i suoi uomini al Parlamento, strappandoli ai legittimi rappresentanti dei cristiani.

Ora vorrebbe fare un passo ulteriore e impossessarsi, con il benestare della presidenza della Repubblica, delle proprietà della Chiesa.

Sako lascia Baghdad per il Kurdistan

Dopo aver vivacemente protestato, il cardinal Sako si è visto costretto a lasciare Baghdad, temendo probabilmente per la propria vita, e a rifugiarsi nel Kurdistan iracheno. Il patriarca caldeo è arrivato all’aeroporto di Erbil il 22 luglio, accolto con tutti gli onori dalle autorità civili ed ecclesiastiche.

«Accogliamo calorosamente il patriarca a Erbil, la capitale della coesistenza pacifica per ogni fede ed etnia», ha dichiarato il premier della regione autonoma, Masrour Barzani. «La regione del Kurdistan e l’alchimia della coesistenza che qui prospera è per noi fonte di orgoglio. Condanniamo il trattamento riservato al patriarca».

Pericolo per i cristiani in Iraq

È durante la conferenza stampa successiva al suo arrivo a Erbil che il cardinale Sako ha fatto intendere con parole sconcertanti che le Brigate Babilonia avrebbero addirittura intenzione di assassinarlo per toglierlo di mezzo. Una possibilità che fa capire quanto sia ancora difficilissima la vita dei cristiani in Iraq.

Il patriarca caldeo ha aggiunto che rimarrà nel Kurdistan iracheno fino a quando il decreto e la successiva riabilitazione del ruolo patriarcale non saranno ripristinati e fino a quando il premier, il capo delle Forze armate irachene e le Forze di mobilitazione popolare non porranno un freno all’attività delle Brigate Babilonia.

Il presidente dell’Iraq viola la Costituzione

Come rivelato dallo stesso cardinale Sako in una lettera aperta indirizzata al presidente della Repubblica, Al Kaldani avrebbe chiesto di essere nominato a custode dei beni della Chiesa, con il fratello Aswan come vice, il fratello Sarman come tesoriere, l’altro fratello Usama come responsabile della sicurezza, del ministro dell’Immigrazione (appartenente al suo movimento politico), Evan Faiek Jabru, a segretario generale del Patriarcato, e del cognato Nawfal Baha Musa a capo dell’ufficio per la gestione dei beni delle comunità cristiane e di altre religioni.

Ancora non è chiaro quali saranno in Iraq le conseguenze della cancellazione del decreto 147. Di sicuro, come notato da Corepiscopo Paulus Sati, amministratore patriarcale caldeo in Egitto, così il presidente Rashid viola la Costituzione irachena all’articolo 43, laddove dice che «i fedeli di tutte le religioni e sette sono liberi di gestire le proprietà e le istituzioni religiose e i propri affari».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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