Iraq. Anche i cristiani potrebbero combattere con i curdi contro lo Stato islamico. «Ma no a una milizia indipendente»

Molti profughi «vorrebbero offrirsi volontari», afferma l'arcivescovo di Erbil Warda. Ma non ci sarà nessun gruppo confessionale: «Sarebbe distruttivo»

«Perché nessuno ci protegge? Vogliamo i fucili e le munizioni, così possiamo farlo da soli». Sono tanti i cristiani cacciati dalle loro case dai jihadisti dello Stato islamico e rifugiati in Kurdistan ad aver parlato in questo modo negli ultimi mesi.  Per due volte la settimana scorsa la stampa irachena ha annunciato la formazione di “milizie cristiane” deputate alla difesa dei villaggi della Piana di Ninive, anche se le cose non stanno così.

«NIENTE ARMI AI CRISTIANI». Ci sono 120 mila profughi nel Kurdistan iracheno che vivono per le strade, in edifici abbandonati o nelle scuole. Presto arriverà l’inverno e i cristiani ancora non possono tornare alle loro case. Ma l’idea di riconquistare da soli le città perdute è stata sempre respinta con forza dal patriarca caldeo Louis Raphael Sako I, secondo cui «dare le armi ai cristiani sarebbe distruttivo, le forze dello Stato devono occuparsi della difesa». D’accordo anche il patriarca maronita Bechara Boutros Rai: «Dobbiamo evitare che si instauri la legge della giungla».

«NESSUNA MILIZIA». Detto questo, anche i cristiani cacciati dalle loro case potrebbero prendere parte alla difesa del paese, come dichiarato al Corriere della Sera dall’arcivescovo di Erbil Bashar Warda: «Per il momento si tratta solo di un progetto, di un’idea. Non c’è ancora nulla di concreto. So che parecchi giovani vorrebbero offrirsi volontari. Tra loro siriaci cattolici, ortodossi, caldei e anche assiri».
È importante però capire, continua, «che non si tratta di una milizia indipendente. L’idea è che i cristiani siano integrati con i militari curdi, che a loro volta sono coordinati con l’esercito iracheno, che fa capo ai comandi centrali di Baghdad».

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