Io, infiltrato per sei mesi nella cellula jihadista francese. «Bisogna spezzargli il cuore»

È andato in onda lunedì su Canal + in Francia "Soldati di Allah". Un documentario unico realizzato da un giornalista musulmano

«Vieni, fratello, andiamo in Paradiso». Il “Paradiso” in questione è quello islamico dei jihadisti, popolato da decine di vergini «che ci aspettano e da angeli come servitori». Il fratello, invece, è Saïd Ramai (pseudonimo), giornalista musulmano, che per sei mesi si è infiltrato e ha filmato di nascosto una cellula jihadista francese che voleva organizzare un attentato. Il risultato del suo lavoro è stato trasmesso lunedì da Canal +. Si tratta di un documentario di oltre un’ora, dal titolo “Soldati di Allah”.

L’EMIRO. L’uomo che promette il Paradiso, con l’aggiunta di «un palazzo e un cavallo alato fatto d’oro e di rubini», ha 20 anni, il suo nome è Oussama, anche se tutti lo chiamano “emiro”. È questo ragazzo che ha già scontato cinque mesi di carcere, dopo aver tentato di raggiungere lo Stato islamico in Siria, ad essere alla guida della cellula di una decina di persone, tutti musulmani di tradizione o convertiti.

«CANI INFEDELI». Saïd Ramai li ha facilmente rintracciati su Facebook e poi su Telegram, un social network molto usato dai jihadisti dal momento che tutti i messaggi sono criptati e si possono creare chat segrete, con messaggi che si auto-distruggono. Il primo appuntamento gli viene dato dall’emiro in un parco di Châteauroux, comune francese di 50 mila abitanti nel dipartimento dell’Indre. Altri incontri avverranno a Parigi.
Tutti i membri della cellula erano già conosciuti ai Servizi francesi, che smantellerà l’organizzazione a fine 2015, prima che potesse entrare in azione. L’obiettivo dei giovani jihadisti è da subito chiaro: «Bisogna colpire una base militare o un giornale. I giornalisti sono in guerra contro l’islam. Bisogna spezzargli il cuore». «I nemici di Allah» sono gli «infedeli», questi «cani, questi animali». È per colpire loro che «bisogna uccidere i francesi a migliaia». Magari in una caserma: «Mentre mangiano e sono tutti allineati: ta-ta-ta-ta-ta».

L’UOMO DEL CALIFFATO. Al di là delle dichiarazioni, la verità è che la cellula è allo sbaraglio. Non ha soldi, non ha armi, si affida a internet per cercare esplosivi e imparare a costruire bombe. È solo dopo mesi che i jihadisti prendono contatto con un certo Abou Suleiman, che «verrebbe da Raqqa». Tocca a Saïd Ramai incontrarlo. Ma all’appuntamento si presenta solo una donna completamente velata. Gli passa un messaggio con le consegne: attaccare un night-club, sparare «fino alla morte», attendere le forze dell’ordine e poi farsi saltare in aria.
È solo in dicembre, quando un membro del gruppo si procura un kalashnikov, che la polizia interviene e uno a uno arresta i membri del gruppo. Uno di questi però riesce a sfuggire alle manette e scrive un sms al giornalista in incognito: «Sei fottuto, amico». A questo punto Saïd Ramai interrompe il suo lavoro.

POLIZIA INADEGUATA. Del documentario stupisce sia la facilità con cui il gruppo è riuscito a formare una cellula jihadista, prendendo contatti con lo Stato islamico e organizzando un attentato, sia la loro totale inesperienza. Dall’altro lato, è incredibile come chiunque possa facilmente aderire a un gruppo jihadista in Francia senza essere fermato. A proposito, il giornalista spiega: «Ho mostrato fino a che punto la polizia incaricata della cyber-security non abbia mezzi a disposizione: non solo nessuno parla arabo e devono usare Google per tradurre i messaggi, ma per legge non possono neanche creare profili falsi su Telegram per condurre controlli e verifiche».

«SONO MUSULMANO E LI DETESTO». Nel documentario il giornalista spiega anche perché ha deciso di rischiare la vita per realizzare il documentario: «Sono musulmano e giornalista, e posso andare dove altri non possono. Volevo capire che cosa passava per la testa a queste persone. Io li detesto perché hanno pervertito l’islam tranquillo di mio padre. Voglio combattere queste persone che uccidono nel nome di Allah e devo dire che ho trovato poca religione tra di loro».

@LeoneGrotti

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