Ingroia rilascia interviste pirotecniche per dire che Napolitano ha fatto “un danno alle istituzioni”

Dal Guatemala replica l'ex procuratore aggiunto di Palermo: Corte Costituzionale influenzata dal clima politico. Secondo Violante, alcuni magistrati si sentono «al di sopra di ogni regola di legalità e di opportunità».

I giudici della Corte Costituzionale non sono stati convinti dalla linea difensiva scelta dagli avvocati dei pm di Palermo, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, che all’inizio di giugno, dopo uno scoop di Panorama, ammisero di essere entrati in possesso di alcune intercettazioni fra il Capo dello Stato e l’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Le intercettazioni riguardavano l’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. I pm dichiararono di avere intercettato Napolitano per errore. Ma, rileva la Consulta nella sentenza di ieri che accoglie il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica, le intercettazioni avrebbero dovute distruggerle subito e non conservarle. Antonio Ingroia, l’autore del documento da un milione di pagine sulla “trattativa”, oggi sul Corriere della Sera e su Repubblica, si lamenta della decisione della Corte. Una sentenza politica, secondo l’ex procuratore aggiunto di Palermo.

STRUMENTALIZZAZIONI. Dal Guatemala, dove sta lavorando per l’Onu, Ingroia, “si autocritica” per non avere previsto «l’impatto delle strumentalizzazioni mediatiche». La grande preoccupazione del pm e del suo collega Nino Di Matteo («mantenere la segretezza» sulle conversazioni fra il Presidente e Mancino) gli avrebbe fatto sottovalutare «l’impatto degli attacchi» che sarebbero arrivati al proprio ufficio. «Una sentenza bizzarra», quella della Corte, secondo Ingroia. Per il magistrato, i giudici costituzionali avrebbero avvertito la necessità di dare ragione al Presidente. Causa i condizionamenti del clima politico; «del resto», ammette sul Corriere della Sera, «non penso che esistano sentenze che non risentano del clima generale che si respira nel paese». Su Repubblica il pm, confessa che, un tempo, aveva un altro parere: «Pensavo che le sentenze della Corte Costituzionale non potessero essere condizionate». L’Italia, dichiara l’ex procuratore aggiunto di Palermo, forse alludendo ai giudici della Consulta, «deve ancora crescere in termini di diritto, eguaglianza e rispetto della Costituzione».

NAPOLITANO E IL CONFLITTO. Secondo Ingroia, non le intercettazioni al presidente della Repubblica, ma la scelta di sollevare un conflitto di attribuzioni da parte del Capo dello Stato ha recato «un danno alle istituzioni italiane». Benché, infatti, ne avesse la possibilità, non era «opportuno» sollevare il conflitto. Come ha sempre sostenuto, peraltro, l’ex presidente della Corte Costituzionale, opinionista di Repubblica e uno dei leader del movimento Libertà e Giustizia Gustavo Zagrebelsky, del parere opposto a quello di un altra grande firma di Repubblica, il Fondatore Eugenio Scalfari, che ha sempre sostenuto la linea di Napolitano e, ora, quella della Corte Costituzionale, secondo cui le intercettazioni del Presidente della Repubblica, captate per errore, vanno distrutte.

MAGISTRATI POCO LUCIDI E SCHIERATI. «Forse alcuni dei magistrati inquirenti», ipotizza l’ex magistrato e senatore del Pd Luciano Violante sul Messaggero, «hanno avuto la sensazione di costruire non un processo ma un capitolo di storia italiana». Una sensazione che li ha portati «a perdere lucidità, a non vedere i limiti costituzionali nell’azione della pubblica accusa». «Un magistrato che indaga sopra vicende delicate deve avere il senso del limite», non rilasciare dichiarazioni, interviste, altrimenti avverte,« facile sentirsi al di sopra di ogni regola di legalità e di opportunità». Quello che può sembrare «un trono» non è altro che un «letto di spine». Un magistrato non deve mai incrinare la fiducia dei cittadini e la sua credibilità schierandosi, avverte Violante, «come la parte di un conflitto politico». E su un’ipotetica candidatura alle prossime elezioni di Ingroia, Violante non vede niente di male ma «finché si è magistrati non ci si deve comportarsi come una parte politica».

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