Poi si dovrà discutere anche dell’incomprensibile spacconeria di Biden nella crisi ucraina

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden (foto Ansa)

Su Fanpage si riporta questa dichiarazione di Antony Blinken: «Crediamo che Putin abbia preso una decisione, ma finché non si muovono effettivamente i carri armati… useremo ogni opportunità che abbiamo per provare a scongiurare un conflitto attraverso la diplomazia».
C’è qualcosa che non è facile comprendere nell’atteggiamento dell’amministrazione Biden: perché non si è messa in campo prima l’iniziativa diplomatica, e si è puntato tutto e solo sulla denuncia?

Sul sito di Tgcom si scrive: «Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov è ancora pronto a incontrarsi con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, dopo la decisione del presidente russo Vladimir Putin di inviare truppe nelle due regioni separatiste ucraine: lo ha reso noto la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova. “Anche nei momenti più difficili… noi diciamo: siamo pronti alle trattative”, ha detto Zakharova».
Il gioco di destreggiarsi tra uso delle armi e iniziativa diplomatica è una specialità di un volpone come Lavrov. Di una simile abilità si sente una certa mancanza nel fronte atlantista.

Su Formiche David Unger, storica firma del New York Times, scrive: «Difficile dire se l’amministrazione Trump avrebbe gestito le cose meglio o peggio. L’approccio di Donald Trump alla politica estera è sempre stato erratico e imbranato, ma non sempre sbagliato. Il punto è che il team Biden-Blinken-Sullivan ha sempre rivendicato di avere esperienza e mano fredda. E invece ci troviamo talvolta di fronte a quel tipo di spacconeria che divide gli alleati e indebolisce la credibilità americana».
Se persino un commentatore del Nyt fa queste riflessioni…

Su Huffington Post Italia Angela Mauro scrive: «“Se Putin riconoscerà il Donbass, scatteranno le sanzioni”. Mentre l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell parla in conferenza stampa, dopo il Consiglio Affari esteri a Bruxelles, il capo del Cremlino annuncia ufficialmente al tedesco Olaf Scholz e al francese Emmanuel Macron che le autoproclamate repubbliche del Donbass sono riconosciute ufficialmente da Mosca. E Borrell non lo sa».
L’Unione Europea sembra quasi semipronta a quasi semi-tutto.

Sul Post si scrive: «Il 21 febbraio 1972, cinquant’anni fa, l’allora presidente statunitense Richard Nixon si trovava a Pechino, in Cina, per uno dei più importanti eventi diplomatici del secondo Novecento: il leader del mondo occidentale, repubblicano e anticomunista, in visita ufficiale presso un regime comunista con cui gli Stati Uniti non avevano rapporti diplomatici ufficiali, e che era assai più rigido e isolato di oggi. Il tutto in piena Guerra fredda, il lungo periodo di tensioni tra blocco occidentale e blocco comunista in seguito alla Seconda Guerra mondiale».
Il destino vuole che la crisi ucraina cada nel cinquantenario della spericolata mossa preparata da Henry Kissinger che mandò a Pechino Richard Nixon a incontrare Mao Zedong, mettendo così le basi per la vittoria nella Guerra fredda sull’Unione Sovietica alla fine degli anni Ottanta. Vedere, invece, Washington spingere adesso Mosca nelle braccia di Pechino, credo provochi una terribile amarezza a chi negli Stati Uniti ha ancora una visione realistica della politica internazionale.

Sul Sussidiario Enzo Cannizzaro dice: «I referenda popolari sono irrilevanti se non indetti dagli organi della comunità internazionale, o, comunque, sotto la loro egida, e svolti sotto il controllo internazionale. Pur se sorretta dal consenso della popolazione, la dichiarazione di indipendenza di parti del territorio ucraino non dà alcun titolo a Stati terzi di intervenire. Nel caso della crisi in atto, un elemento di complicazione è dato dalla circostanza che l’Ucraina non ha dato applicazione (se non in parte) agli accordi di Minsk che portarono al cessate il fuoco nel Donbass».
Che la Russia abbia torto è molto più evidente di quanto l’Ucraina e l’amministrazione americana, che l’ha appoggiata, abbiano ragione.

Sugli Stati generali Marco Giovanniello scrive: «L’Ucraina non si è molto sforzata di diventare uno Stato plurietnico, ma ha voluto costruire la sua identità in antitesi con la Russia. Paesi che consideriamo molto avanzati come il Canada e il Belgio ci insegnano che è molto difficile costringere due etnie a convivere pacificamente, in Ucraina sarebbe stato ancora più difficile, ma ignorare totalmente l’orso russo, se si è piccoli, può far molto male. Forse a Kiev veramente qualcuno ha pensato che bastasse aderire alla Nato per averla dalla propria parte nella lotta contro la popolazione russofona e inevitabilmente poi contro la Russia».
Ecco su un sito di una sinistra intelligente altri elementi per una riflessione indispensabile se si riesce a riprendere il filo della trattativa diplomatica.

Su First online Mario Margiocco scrive: «L’errore occidentale è stato, da parte di Bill Clinton e di Bush jr. soprattutto, quello di umiliare troppo Mosca con l’eccessivo, forse, avanzamento Nato verso est. Ma per molti aspetti Putin parla come se l’Urss esistesse ancora. Agisce come se lui fosse in linea diretta con quella stagione di 80 anni fa. E Nato e Ue andassero osteggiate come Mosca faceva nel ’49 o nel ’57. Per questo la moribonda Nato, priva di scopi e di futuro, si diceva dopo il ’91, è rinata a nuova vita ottenendo un gerovital che le assicura un decennio almeno di garantita e omaggiata esistenza. Chi dice in queste ore che è inutile? Ne avremmo fatto a meno, dopo tanti anni, perché faremmo a meno di una reincarnazione dell’Urss».
Ora il problema è la politica di prepotenza di Vladimir Putin ed è difficile lasciare troppo spazio alla riflessione su come si è arrivati alla situazione attuale. Però, ribadiamo, se si riesce a riprendere in mano la crisi e a evitare esiti tragici, una discussione di come si è arrivati a questo punto sarà necessaria.

Su Atlantico quotidiano Enzo Reale scrive: «Disastrosa in questo senso l’eredità di Angela Merkel, che ha aperto le porte del continente a Putin con la nefasta gestione dell’affare Nord Stream 2, avallata anche dalla rinuncia di Washington a contrastarne il completamento e l’entrata in funzione».
Chi semina opportunismo, raccoglie disgregazione: così sarà ricordata la Merkel.

Sul Blog di Beppe Grillo Danilo Della Valle scrive: «Il terreno di scontro è ancora una volta l’Ucraina, terra di confine, come l’etimologia della parola suggerisce, che da tempo ha sperimentato il passaggio dalle “sfide” elettorali tra i due blocchi, quello della parte ovest, tradizionalmente più ancorata ad un’idea occidentale e quella della parte est, russofona, ad una vera e propria guerra. Perché sì, il conflitto in questa parte di Europa va avanti dal 2014, da quando il colpo di Stato di Maidan, non accettato dalla parte di popolazione russofona, ha portato allo scoppio di una guerra civile tra l’esercito ucraino regolare e le autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, nella parte orientale appunto dell’Ucraina».
Al di là di argomenti sui quali si può discutere, il blog di Beppe Grillo trasuda simpatia per Mosca e disprezzo per gli Stati Uniti: immaginiamo quanto questo atteggiamento possa aiutare un ministro degli Esteri che per sopravvivere politicamente conta essenzialmente sull’appoggio del guru che sponsorizza simili posizioni.

Su Scenari economici Perlasca scrive: «Ci siamo resi dipendenti dalla Russia per le forniture energetiche, ignorando e punendo le fonti alternative. Ci hanno obbligato a comprare il gas dalla Russia, distruggendo, Francia in testa, le nostre fonti energetiche nordafricane. Dimentichiamo chi volle la guerra a Gheddafi? Non solo, con l’inazione di fronte all’interventismo turco nel Mediterraneo orientale si è ritardata la nascita di un polo di fornitura alternativo da Cipro-Israele-Egitto».
Ecco altri argomenti alla crisi ucraina di cui bisognerà discutere se la crisi non degenererà.

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