Mettono la ciliegina sul letame e la chiamano torta di cioccolato

Nell'inchiesta sulla "famiglia Meloni" c'è poca ciccia, così arriva in soccorso l'editorialista sacerdote che ci spiega che è tutta una questione di "candore". Ah i bei tempi delle olgettine!

Giorgia Meloni, Roma, 13 maggio 2023 (Ansa)

Chiamare le cose con il loro nome significa dire che se è marrone e maleodora, di sicuro non è cioccolato. La cosiddetta “inchiesta” di Domani e Repubblica sulla “storia segreta” della famiglia Meloni, ad esempio. Da qualche giorno i due quotidiani si sono messi a frugare sui familiari della presidente del Consiglio e, con la solita scusa della “trasparenza”, hanno acceso il ventilatore per spruzzare in giro un po’ della famosa sostanza (non il cioccolato, l’altra).

Sono loro i primi a scrivere che non vi sono «rilievi penali o contestazioni giudiziarie», epperò, intanto, le pale dell’aeratore continuano a ruotare. Chi abbia perso un po’ del suo tempo a leggere la presunta inchiesta sa che di “ciccia”, come si dice, ce n’è poca. Diciamolo più schiettamente: non ce n’è proprio. Il bravo cronista di giudiziaria del Giornale, Luca Fazzo, ha riassunto in poche righe il cuore dello «sgangherato assalto alla Meloni»:

C’è la clamorosa scoperta di una società dove la mamma di Giorgia Meloni aveva nientemeno che lo 0,5 per cento. La rivelazione di un’altra società dove la mamma – sempre lei – aveva «una piccola quota», «coinvolta in scandali legali solo dopo l’allontanamento di Anna Paratore», che sarebbe per l’appunto la madre della premier, che quindi con gli «scandali legali» c’entra meno che niente: ma tutto fa brodo. C’è, ed è forse il passaggio più surreale di tutti, la spericolata riabilitazione di Francesco Meloni, il padre di Giorgia: un tipaccio sparito da decenni dalla vita della futura leader di Fratelli d’Italia, arrestato e condannato per un colossale carico di hashish. Che, però, viene raccontato non come un narcotrafficante ma come una sfortunata vittima delle circostanze, un brav’uomo caduto in disgrazia, e «l’affare illecito sarebbe dovuto servire a ripianare i suoi debiti». Morale: Giorgia sarebbe un’ingrata che per ricostruirsi un immagine ha praticamente ripudiato il tenero papino che «morirà dopo una lunga e straziante malattia».

Elly e Giorgia

Ci vorrebbe un bravo medico per capire il dramma psicologico che l’ascesa di Meloni ha ingenerato nella sinistra. Questa vicenda che un “underdog”, una donna, preparata e pure «simpatica» (Galli Della Loggia dixit) sia diventata presidente del Consiglio li manda ai pazzi. Così in confusione che, in quattro e quattr’otto, hanno dovuto opporle una segretaria per mostrare che anche loro – dopo anni di marce e convegni sui “diritti delle donne” – sapevano stare al passo coi tempi. Solo che la soluzione trovata è stata un disastro: donna sì, ma multigender – come dice Dagospia -, e non certo proveniente dalla working class, diciamo.

E per quanto riguarda la preparazione, basta la descrizione della conferenza stampa apparsa ieri sul Foglio:

Si siede al tavolino davanti ai microfoni, fa un commento sulle elezioni di dodici minuti e quindici secondi, dice all’incirca di avere vinto, poi si volta verso sinistra e lascia intendere che da ora in poi risponderà il tizio pelato che le sta seduto accanto, tale Davide Baruffi. Se ci sono domande, fatele a lui. I giornalisti lo guardano come si guarda un piatto di minestra fredda. Al che, a un certo punto, dal fondo della sala un cronista si rivolge all’anonimo pelato: “Scusi, può chiedere alla segretaria se farà i comizi con Conte?”. È iniziata così, ieri, con una nota di commedia, la seconda conferenza stampa di Elly Schlein da quando è leader del Pd.

La ciliegina sulla montagna di concime

Quando non hai argomenti per attaccare il presidente del Consiglio che fai? Chiami Francesco Merlo, l’editorialista-sacerdote che su Repubblica non scrive articoli, ma scomuniche. Merlo è il campione del giornalismo chiacchierone e petulante, quello che sa come trasformare le maldicenze delle comari in articolesse di costume e tramutare i bisbigli ripetuti sui ballatoi delle redazioni in ritratti dell’anima.

Merlo non spala letame in cerca di notizie, non affonda le mani nella merda dei verbali giudiziari o dei rapporti passati dai servizi. Lui arriva a lavoro fatto e mette la ciliegina sulla montagna di concime. Così, per renderlo più accettabile e saporito.

Dunque anche ieri, in mancanza di qualsivoglia “ciccia” da mettere in pagina, il Merlo è andato a farla sulla «famiglia spericolata» di Giorgia Meloni. E tra una citazione di Paolo Conte ed un excursus su come di dica “patrigno” in inglese e francese, l’editorialista s’è impegnato per un’intera pagina di Repubblica a smontare il «candore» di Giorgia Meloni.

I bei tempi delle olgettine

Tutto qui? Tutto qui. Capite anche anche voi che è un po’ poco, non diremo come critica politica, ma pure come critica antropologica, per usare paroloni, e pure come critica e basta, per stare terra terra. Son finiti i bei tempi in cui si cannonava il Cavaliere con le dieci domande sulle olgettine e pure quelli in cui si poteva intimare al ministro Lupi di dimettersi da padre.

Sono tempi duri per i giornalisti d’inchiesta di Repubblica, costretti a rimestare nel marginale per trovare qualcosa di succoso con cui indignare i lettori. E sono tempi ancor più duri per i loro editorialisti: una volta li facevano tuonare dai balconi come dei Savonarola, ora chiedono loro di spingere inchieste alla maniera degli stercorari.

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