In base a quale legge Mario può suicidarsi?

Come la giustizia italiana ha potuto assumere tale grave decisione? Si dà per scontato che sia la Consulta a potere stabilire “regole”, a cui, invece, solo il Parlamento può provvedere

Marco Cappato durante la raccolta firme per il referendum sull’eutanasia (foto Ansa)

Caro direttore, pare che nel 2023, il prossimo anno, il popolo italiano sia chiamato (finalmente) a votare per il rinnovo di un Parlamento peraltro dimezzato (pandemia o altro permettendo, naturalmente). Ma forse tale votazione sarà del tutto superflua, visto che questo stesso Parlamento, nel frattempo, è diventato del tutto inutile. È, infatti, la stessa magistratura a governare il Paese, indipendentemente dal parere del potere legislativo. Un fatto sconcertante, accaduto in questa settimana, conferma quanto ti sto scrivendo.

Mi riferisco alla sentenza di un tribunale marchigiano che ha autorizzato il suicidio di “Mario”, la persona tetraplegica che si è rivolta alla giustizia italiana per ottenere l’autorizzazione al suicidio. La giustizia italiana ha detto di sì, incaricando una commissione medica per l’individuazione del farmaco più adatto, cosa che è avvenuta. Ora “Mario” può procedere.

Tanti si chiederanno: ma in base a quale legge la giustizia italiana ha potuto assumere tale grave decisione? Scandalosa sorpresa: in base a nessuna legge, perché una tale legge non esiste nel nostro ordinamento giuridico. Ma allora, su quale base giuridica è stata assunta la decisione? Non sulla base di una legge, ma sulla base di alcune considerazioni e di alcuni criteri scritti in una sentenza della Corte Costituzionale con la quale essa invitava il (pigro ed indifferente) Parlamento a legiferare sulla scabrosa materia, cosa che non è ancora avvenuta.

Non esiste, dunque alcuna legge, ma solo un orientamento della Corte Costituzionale, la quale, come sanno gli studenti del primo anno di giurisprudenza, non ha alcun potere legislativo, avendo il potere di giudicare la costituzionalità delle leggi, ma non di crearle (art. 134 Cost.).

Siamo, invece, arrivati al punto che le autorità giudiziarie se la fanno e se la dicono tra di loro, indipendentemente dall’esistenza o meno di una legge, dimenticando che l’articolo 101 della Costituzione più bella del mondo afferma solennemente che «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». In questo caso una legge non esiste e sono sorpreso che i vari commenti di queste ore non sottolineino questo fondamentale aspetto, che costituisce uno dei cardini del nostro sistema istituzionale e democratico. La magistratura sta invadendo, proprio con i suoi organi più alti, un campo che non è suo.

Ma in questa sorta di anarchia giudiziaria, l’associazione Coscioni, la vera protagonista in questa triste vicenda, ha così potuto commentare l’accaduto: «È una svolta storica. Da oggi in Italia abbiamo non solo delle regole precise, stabilite dalla Corte Costituzionale nella sentenza Cappato, ma anche delle procedure e delle pratiche mediche definite che includono le modalità di auto-somministrazione del farmaco da parte del paziente».

Si dà per scontato, cioè, che sia la Corte a potere stabilire “regole”, a cui, invece, solo il Parlamento può provvedere, come solo le autorità amministrative possono stabilire “procedure” e “pratiche mediche”. È in atto uno stravolgimento del nostro assetto istituzionale che non può non preoccuparci, per il semplice fatto che, andando avanti di questo passo, non sarà più vero che “la sovranità appartiene al popolo”. Il popolo se ne sta accorgendo e, forse, è anche per questo che frequenta sempre meno i seggi elettorali.

Giuliano Amato, attuale presidente della Corte Costituzionale, non contribuisce certo a rasserenare il clima, visto che, riferendosi alle decisioni che la stessa Corte dovrà assumere il prossimo 15 febbraio sui vari referendum (compreso quello relativo all’omicidio del consenziente), ha in sostanza fatto capire quale sarà la decisione dell’organo da lui presieduto, perché, a suo dire, la Corte non può certo soffermarsi su obiezioni espresse come la ricerca del pelo nell’uovo. A parte questo tono offensivo verso il lavoro svolto in questi mesi da eminenti personalità giuridiche, non mi pare corretto anticipare decisioni proprio in queste ore di confusione e di serie incertezze giuridiche.

Insomma, caro direttore: indipendentemente dal merito della questione da me sollevata (ogni affettuosa, umana e cristiana vicinanza deve essere espressa nei confronti di “Mario”), mi pare che il Paese si sia messo su di una china molto preoccupante e mi stupisco che troppi pochi se ne allarmino. Indifferenza pericolosa, che lascia protagonista solo la mortifera cultura radicale.

Peppino Zola

Foto Ansa

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