Il tramonto dell’Università occidentale. Un caso (surreale) svedese

Il documento risale ad aprile ma merita di essere ripreso e tradotto integralmente perché esemplare dei nostri tempi. Un sintomo del tramonto dei valori dell’Occidente cosiddetto illuminista e liberaldemocratico: libertà di parola, tolleranza, rispetto per le verità fattuali. Un dialogo surreale a metà fra Ionesco e Beckett. Ma non arriva dalla Parigi del Teatro dell’Assurdo, bensì dalla Svezia, per la precisione da Stoccolma. Dove appunto accadono cose che meriterebbero il Teatro dell’Assurdo e invece sono considerate perfettamente normali da docenti e dirigenti accademici.

Succede questo: all’uscita da una lezione presso il Reale Istituto di Tecnologia, uno studente e due studentesse discutono se sia vero che gli autori dei reati sessuali in Svezia sono soprattutto immigrati e figli di immigrati. Lo studente, Felix, sostiene che quelle due categorie di persone incidono sul totale degli atti di violenza sessuale molto più della loro percentuale rispetto al totale della popolazione svedese. Le due ragazze dubitano e chiedono prove, e allora il giorno dopo Felix (questo il nome fittizio che i giornali hanno dato allo studente) torna portando con sé un documento che ha realizzato mettendo insieme dati di varie fonti, fra le quali principalmente quelli dell’ufficialissimo Consiglio nazionale svedese per la prevenzione del crimine. Le studentesse portano via con sé il documento e lo fanno vedere ad altri studenti. Alcuni di questi si rivolgono alle autorità accademiche con una protesta formale, dichiarandosi offesi dal testo prodotto da Felix. Un docente solleva il caso all’inizio della lezione alla quale partecipa anche Felix, lodando l’iniziativa degli studenti che hanno sporto denuncia. La preside del Dipartimento e la responsabile delle Risorse umane aprono una procedura disciplinare contro il giovane per «azione offensiva o molestia».

Sì, avete capito bene: uno studente universitario in Svezia è stato messo sotto inchiesta dalle autorità accademiche per aver consegnato delle statistiche a due compagne di corso al fine di corroborare le sue affermazioni sul rapporto fra immigrazione e criminalità. Che sia stato prosciolto conta poco: palesemente il procedimento non doveva neppure incominciare, l’intento intimidatorio nei confronti di tutti coloro che in ambiente universitario pensano di poter manifestare le proprio idee e argomentarle con dati di fatto è palese. Ma gli aspetti più istruttivi della vicenda si apprendono leggendo brani della trascrizione dell’istruttoria informale del caso, che sono stati pubblicati nell’originale svedese e in una traduzione in inglese sul sito di Academic Rights Watch, la Ong svedese che ha per scopo la difesa della libertà di espressione nelle università svedesi. I protagonisti della discussione sono Felix, la preside Annelie Fredriksson e la responsabile delle Risorse umane Marja Mutikainen. Ecco cosa si dicono.

Fredriksson: «Lei sa benissimo che non si possono diffondere opinioni politiche, anche in forma di fatti, nulla di questo si può fare in università».
Felix: «Dove sta scritto?».
Fredriksson: «Beh, nel codice etico del Reale Istituto di Tecnologia (RIT)».
Felix: «Ho controllato, non c’è scritto niente del genere».
Mutikainen: «Quando c’è qualcosa che può essere interpretato come una violazione o una molestia. Distribuire informazione è sufficiente a configurare l’infrazione».
Felix: «Non sono opinioni mie. Faccio riferimento a uno studio. Dunque per voi i fatti sono discriminatori?».
Fredriksson: «È complicato da spiegare. È sufficiente che qualcuno che ha ricevuto il materiale o al quale è stato dichiarato il suo contenuto si senta offeso. Lei ha il diritto di avere le sue opinioni, ma le sue opinioni possono essere genericamente offensive per qualcuno».
Felix: «Allora non abbiamo libertà di opinione».
Mutikainen: «Questa norma non si applica solo qui al RIT, ma in tutta la Svezia sui posti di lavoro in base alla normativa dell’Anti-discrimination Act. Lei può pensare quello che vuole al RIT, purché non lo dica a persone che potrebbero sentirsi offese da quello che lei dice. Perché ha sentito la necessità di produrre quelle statistiche?».
Felix: «Perché due compagne di corso me le avevano chieste».
Mutikainen: «Può costituire molestia o offesa quando qualcun altro entra in contatto con questa informazione, se le persone a cui lei ha dato la comunicazione la diffondono ulteriormente e questa raggiunge persone che pensano: “mi sento offeso”».
Felix: «È assiomatico che se qualcuno si sente offeso allora qualcuno ha fatto qualcosa di sbagliato nei suoi confronti? Se io, ipoteticamente, mi sento offeso dalla discussione che stiamo facendo, voi avete commesso un’infrazione?».
Mutikainen: «Sì, si dovrebbe aprire un’indagine per stabilire se abbiamo fatto qualcosa di sbagliato».
Felix: «Allora vi dico questo. Dovrebbe essere inaccettabile che quindici persone mi affrontino dopo la lezione con aria arrabbiata e mi gridino che sono un idiota, un nazista e così via, senza nessuna ragione perché io non sono queste cose».
Mutikanen: «Anche questo è qualcosa che non dovrebbe essere comune in un college».
Felix: «È strano che una persona da sola possa bullizzare quindici persone. Bisognerebbe allarmarsi per altre cose. Se quindici persone avessero scritto a un immigrato quello che è stato detto a me, capisco che sarebbe sorto un problema. Ma qui la vittima sono io. Sono io a sentirmi minacciato. La realtà è stata completamente capovolta. Le studentesse hanno insistito che avevano bisogno della documentazione. A questo è seguito bullismo nei miei confronti. Di tutto questo la colpa non è mia».
Fredriksson: «Se sono nel mio posto di lavoro o di studio e dico cose che agli altri non piacciono, non c’è posto per me in quel gruppo. Verrei licenziata. Lei può pensare quello che vuole al RIT, basta che non lo dica, così le persone non si sentiranno offese».
Felix: «Le sembra ragionevole e giusto questo?».
Fredriksson: «Non dico che sia giusto, ma posso immaginare le reazioni della gente. Lei può avere ragione nel pensare che si tratta della sua libertà di parola, ma le persone hanno sentimenti».
Felix: «Ma i sentimenti non possono avere la priorità sulla libertà di espressione. Siamo in Corea del Nord? Abbiamo libertà di espressione solo se siamo tutti d’accordo? Non vi sembra un esito pericoloso? La libertà di espressione è sempre stata lo specifico delle università, che erano un rifugio dalla società totalitaria che le circondava. Ora questa libertà è abolita proprio nelle università, e questo è uno sviluppo estremamente preoccupante.  (…) Non pensate che sia assurdo?».
Fredriksson: «Quello che penso non ha importanza».
Felix: «In realtà quello che lei pensa importa parecchio, perché è lei che sta portando questo caso alla Commissione Disciplinare».
Fredriksson: «Perché devo farlo. Verrei meno ai miei doveri se non lo facessi».
Felix: «Ma io so che ci sono stati molti altri casi di reclami che non sono arrivati fino alla Commissione Disciplinare».
Fredriksson: «E l’università si è infuriata perché non abbiamo riportato i casi. Per questo adesso ci stanno addosso, e poi della cosa si sono impadroniti i media. Perché non dovremmo aprire il procedimento, ora che la cosa si è diffusa? Immagina cosa mi succederà se non lo faccio?».
Felix: «Così mi state dicendo che porterete aventi il procedimento perché voi due pensate che è giusto così».
Fredriksson: «Sì, non ho preso la decisione da sola, ma come ho detto, non ho scelta».

Ricapitolando: le autorità accademiche svedesi sostengono che è proibito esprimere all’interno del campus opinioni che potrebbero offendere altre persone, ed è la reazione di coloro che si dichiarano offesi a trasformare ipso facto le opinioni espresse in molestia sanzionabile. Questo non cambia anche se le opinioni non sono opinioni, ma fatti empiricamente verificati. Perché l’elemento dirimente è la reazione degli studenti che si sentono toccati dalla comunicazione di quei fatti. Le università, che dovrebbero essere i templi della razionalità e dello spirito critico, si piegano di fronte a quella che Byung-Chul Han definisce la «dittatura dell’emozione». Secondo il pensatore tedesco-coreano il sentimento e l’emozione hanno preso il sopravvento sulla razionalità per esigenze legate all’incremento della produzione e delle prestazioni dei lavoratori nel contesto del sistema neo-capitalista. Senza spingersi fino a queste speculazioni, si vede bene che il criterio del sentimento è applicato in maniera selettiva, funzionale alla cultura progressista dominante.

Se uno studente fondamentalista cristiano si lamentasse perché le lezioni di biologia trattano la teoria dell’evoluzionismo e la cosa lo ferisce, c’è da scommettere che nessuno gli darebbe retta. Ma in realtà quello che succede è che i bianchi, cristiani, maschi, eterosessuali, antiabortisti, ecc. non protesteranno mai per vere o presunte offese ai loro sentimenti insite nelle lezioni di un professore universitario o nei commenti degli studenti su tali lezioni. La loro identità o le loro caratteristiche sono considerate sgradevoli dal pensiero dominante, e loro sono i primi a interiorizzare colpa e vergogna connesse a ciò che sono. Dunque tacciono, timorosi di peggiorare la propria situazione. Le autorità accademiche che promuovono codici di condotta anti-molestie sanno benissimo che nessun bianco, cristiano, maschio, ecc. si rivolgerà mai a loro per denunciare di sentirsi offeso da qualcosa che passa in università. Quei codici servono semplicemente ad accrescere l’ascendente delle categorie che rientrano nei canoni del politicamente corretto, e che sono effettivamente quelle che fanno uso delle opportunità fornite dai codici etici per affermare se stesse come soggetti politici.

Ma come dice giustamente Felix, quando l’università si mette al servizio di un’ideologia e le permette di esercitare un potere totalitario sulle relazioni umane, viene meno alla sua vocazione storica di essere spazio di libera ricerca e di libero pensiero. Le università sono state decisive nella formazione dell’identità della civiltà occidentale; oggi svolgono un ruolo altrettanto decisivo nel declino della stessa.

@RodolfoCasadei

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