Il sogno di una “rivoluzione conservatrice”

Come rimettere in moto e trovare sinergie in un mondo non di sinistra. Reazione all'editoriale di Alessandro Giuli

Quello che Alessandro Giuli ha definito il suo “sogno”, vale a dire rimettere in moto «un mondo che ha vissuto spaventosi e immeritati complessi nei confronti dell’egemonia gramsciana di sinistra» attraverso un vasto programma che possa contemplare «realtà culturali federate in un progetto comune» è anche il mio. E credo di molti altri.

Certo, non è un’idea nuova. In passato simili tentativi si sono rivelati utili solo a rimpinguare le pagine estive dei giornali prima di sfibrarsi alle prime brezze settembrine. Quando infatti le notizie su cui arzigogolare sono poche, gira e rigira si ritorna sempre sugli stessi temi. Questa volta potrebbe però funzionare perché è mutato lo scenario e credo che Giuli fiutando l’inversione di tendenza voglia giustamente cogliere la palla al balzo e di proposito inviti tutti al gioco di squadra.

Ed è ovvio che non si possa fare affidamento sulla classe politica di centrodestra che resta generalmente insensibile a sommovimenti ed iniziative culturali che non siano direttamente spendibili per il consenso elettorale. Lo ha dimostrato nel ventennio appena passato dove apatia mista a cinismo ne hanno connotato l’inguaribile mediocrità. Tuttavia questo è l’unico elemento rimasto identico al passato. C’è infatti una generazione che assiste e subisce la veemenza della globalizzazione, la rinuncia a brandelli sempre più ampi di sovranità nazionale, la potenza evocatrice del progresso tecnologico che monopolizza l’immaginario individuale e collettivo. Elementi conosciuti e studiati da almeno un secolo ma che, per la prima volta nella storia dell’umanità, si palesano e si impongono grazie al loro definitivo dispiegamento.

Se dunque al momento attuale non c’è una classe dirigente pronta a comprendere una simile epoca rivoluzionaria, c’è invece un brulichio costante alimentato e fatto proprio da una generazione nata nell’epoca della globalizzazione dispiegata e che può esprimersi priva dagli appesantimenti retorici dei vecchi partiti e dalle chincaglierie nostalgiche.

Questo nuovo fermento si nutre infatti degli strumenti del presente. Ciò che da qualche anno si registra in internet è per molti versi stupefacente e fatta la tara ad una molteplicità di iniziative che hanno infima consistenza e quindi destinate a non lasciare il segno, andrebbero invece segnalate tante altre che iniziano a strutturarsi e ad avere consistenza pratica oltre che teorica. Ma non è solo la rete a svelare un “sottosuolo” in subbuglio.

Quasi due anni fa raccontai per Il Giornale di alcune significative realtà associative ed editoriali. Ovviamente schematizzai oltre il dovuto questa complessa mappa che perciò poté apparire monca di mille altre realtà ma mi divertii a dividerla anche per categorie. Raccontai degli Anarco-conservatori riuniti attorno a Sebastiano Caputo e Lorenzo Vitelli (L’Intellettuale dissidente), degli Anticonformisti di Eclettica edizioni, degli Antimoderni e delle pubblicazioni di Bietti di cui è animatore l’ottimo Andrea Scarabelli, dei Comunitaristi de Il Talebano con Fabrizio Fratus e Vincenzo Sofo, dei Conservatori di Giubilei Regnani editore, dei Federalisti e Olivettiani (così amavano definirsi) che pubblicavano grazie a Geminello Alvi e Riccardo Paradisi su La Confederazione italiana, dei Patriottici del pugliese Michele De Feudis, dominus di Barbadillo, dei Reazionari e delle edizioni Solfanelli, dei Sovranisti con Primato Nazionale di Adriano Scianca.

Ma, dicevo, avrei potuto e potremmo citarne almeno un’altra dozzina come talune pubblicazioni dal taglio revisionista e perciò poco propagandate come Storia in rete o Storia Verità, oppure La voce del Ribelle, e poi ancora saggisti dimenticati e semisconosciuti al grande pubblico tuttavia capaci di lavori di prim’ordine.

Dunque, il fatto che Alessandro Giuli “sogni” un ricompattamento non è idea peregrina o scontata. Se infatti a fine anni Ottanta, quando la Prima Repubblica era agli sgoccioli, nacquero e si moltiplicarono iniziative simili, fu dovuto al fatto che in molti casi erano costole di partito artatamente alimentate. Sostenute cioè da singoli parlamentari o da “correnti” e quindi lasciate navigare in campo aperto il tempo necessario. Non vi era progettazione culturale di lungo periodo né quella idea di egemonia cui fa riferimento Giuli, nonostante talune pubblicazioni furono pure al di sopra della media: il riferimento va all’Italia settimanale di Marcello Veneziani, a Ideazione di Domenico Menniti e Percorsi di Gennaro Malgieri.

Far finalmente interagire quotidiani, riviste, centri studi e fondazioni, in un fronte conservatore e patriottico, spurio da revanchismi e perciò moderno, non è solo ora il suo sogno. Certo, non credo che si possa minimamente ripetere l’esperienze delle riviste fiorentine del primo novecento. Prezzolini e Papini, Croce e Gentile, Gobetti e Salvemini, D’Annunzio e Soffici, Amendola e Corradini in giro non se ne vedono.

Ma qualcosa sotto traccia si muove. Ed è qualcosa di importante, apprezzabile e probabilmente di duraturo. Serve però un minimo di coordinamento che non vuol dire omologazione. Come per le più famose riviste fiorentine, l’intento deve essere quello di creare un quadro riconoscibile di elaborazione culturale. In altre occasioni ho azzardato il termine “rivoluzione conservatrice”. Non tanto per ostentare spocchiosi paragoni con intellettuali di primo livello quali Spengler, Jünger o Schmitt, ma perché talune direttrici che essi utilizzarono come la difesa della identità e la lotta al politicamente corretto e al pensiero unico possono essere ancora declinate, seppur con nuove formule.

E allora, forza, caro Giuli, andiamo avanti!

Foto da Shutterstock

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