Il ragazzo al bar, il prete di frontiera, Leopardi. Storia dei Colloqui Fiorentini

Così un tiratardi che non metteva la testa sui libri e il muso in chiesa s'imbattè in Gioventù Studentesca e finì per inventarsi il convegno di letteratura più amato dalle scuole d'Italia

Si potrebbe iniziare da ciò che risorge tra le rovine fumiganti della scuola e dell’educazione, da quelle personalità che esprimono il genio del cristianesimo cattolico, da una siepe di Recanati, insomma dalle generalità di un convegno di letteratura su Leopardi che accrocchia offline migliaia di docenti e studenti e dall’Italia sbarca in Inghilterra. Invece per raccontare la XVIII edizione dei Colloqui Fiorentini dedicata a Leopardi partiamo da Sansepolcro, provincia di Arezzo, e da un ragazzetto al bar. Sì perché a metà degli anni Sessanta Gilberto Baroni aveva l’età giusta per fare il tiratardi allietato dall’alcol e dalle chiacchiere di provincia pur di non mettere la testa sui libri in settimana o il muso in chiesa la domenica. E qui la storia la si immagina già, o trovi un compare di ciurlate nel manico, o prima o poi, arriva un amico – c’è sempre un amico o un prete nelle storie di frontiera (infatti il prete arriva dopo) – che ti rimette su una qualche carreggiata. Quindi un amico arriva: per tre, quattro, cinque mesi dice a Gilberto «ma vieni a vedere, c’è questa cosa nuova, c’è questa gente viva» e Gilberto che deve fare? Un po’ per amicizia, un po’ per sfinimento, molto per la voglia di tornare al bar senza scocciature gli dice “ok”, va veramente appresso all’amico e finisce per incontrare un prete. Si chiama don Battista Gregori, guida un gruppo di ragazzi tra i 16 e i 18 anni di Gioventù Studentesca, è giovanissimo, è il 1966.

C’È SEMPRE UN PRETE NELLE STORIE DI FRONTIERA

«Non somigliava affatto ai preti che mi avevano fatto abbandonare il cristianesimo e le sue pie vecchiette e donnette per la disperazione di mia mamma: era un uomo vero, leale, quanta virilità». Notare bene, Baroni è un vero vagabondo anticlericale, qualcosa doveva avere questo don Battista (per gli amanti delle cronache vaticane, è quel don Battista segretario di monsignor Abele Conigli che, diventato vescovo a Teramo, ordina sacerdote Angelo Scola) di ben diverso da quella cristianità che si nutre di marmellata, direbbe Bernanos, se è vero che pochi mesi dopo quell’“ok” Baroni si trova ad ascoltare tanti altri preti a Milano Marittima dove prima di iniziare l’anno scolastico la Gioventù Studentesca di don Luigi Giussani teneva una tre giorni. Baroni era diventato un giessino, non aveva obiezioni a portare la croce anche se non capiva bene come caricarsela in spalla e di quella tre giorni gli rimane impressa la grande scritta sul muro: «Ed essi subito, abbandonate le reti, lo seguirono».

NELLA STALINGRADO FIORENTINA SENZA DANTE

Sia come sia, «quella frase non ha smesso di parlarmi», racconta Baroni a tempi.it, e ora arriviamo ai Colloqui Fiorentini. Come capita in quegli anni a molti Baroni come lui, è sufficiente imbattersi in Gs per mettersi al seguito di una amicizia cristiana e darne testimonianza nei luoghi della propria vagabonda adolescenza: sui banchi, con la fidanzata, a naja («Comunione e liberazione militare, ho fatto anche quella»), fatto sta che il pessimo studente del bar diventa un ottimo insegnante col pallino della letteratura come incontro, occasione di paragone e di giudizio sull’esperienza della vita, e viene trasferito alla periferia di Firenze in un istituto tecnico per il turismo, «una specie di Stalingrado fiorentina che aveva bandito i Promessi Sposi al biennio e la Divina Commedia al triennio». Ovviamente Baroni non rinuncia a Manzoni e Dante, e ovviamente tra quell’assortimento di studenti di un «materialismo greve» e senza brividi adolescenziali scocca la scintilla. E a forza di scintille, una, dieci, cento, mille volte, Baroni finisce per conquistarsi sul campo una stima che va al di là degli schieramenti, tra gli studenti e i docenti stessi: alla sua Diesse, didattica e innovazione scolastica (non c’entra niente con i Ds), che presiede dal 1996, vengono affidati corsi di aggiornamento per tutte le scuole della Toscana.

ROMPERE LA CORTINA CULTURALE

Per farla breve, è il 2001 quando a Baroni balza l’idea di organizzare un grande appuntamento nazionale per studenti e insegnanti che ricalcasse il percorso culturale proposto ai maturandi prima degli esami: «L’idea era semplice, incontrare gli autori, rompendo una prospettiva culturale astratta per andare incontro all’uomo. Offrire un criterio interpretativo diverso da quello offerto ai schemi e correnti letterarie che procedevano per astrazioni: chiamiamolo del senso religioso. Un criterio cioè che non leggesse testi e parole dell’autore come conseguenza di una teoria, ma radice della teoria, affrontando cioè temi che normalmente sono sviscerati in un percorso educativo della fede: la ragione, la libertà, la morale, l’amore, tutte cose che “parlano” ai ragazzi dell’autore ma anche di loro stessi». Ebbene, Baroni ha l’idea, ha perfino le risorse per realizzarla, quello che non ha allora è qualcuno che gli dia una mano, una pacca sulla spalla, un loghino di patrocinio all’iniziativa. E allora va da qualcuno che non avrebbe potuto dirgli di no: Pietro Baroni, secondo anno di lettere e soprattutto suo figlio, «si fa questa cosa io e te, va bene? Obiettivo almeno un centinaio di persone». La “cosa” viene battezzata I Colloqui Fiorentini.

«QUI HO VISTO GIACOBBE E L’ANGELO. E LO DICO DA ATEA»

Altro che un centinaio. Alla prima edizione, su Eugenio Montale “E la ricerca del varco”, partecipano 450 tra studenti e docenti delle scuole superiori («sta a vedere che hanno preso Diesse per Ds»), nella cornice del Palazzo degli Affari di Firenze. Oggi siamo alla diciottesima e si è abbattuto il muro delle 4.000 presenze e solo il Nelson Mandela Forum, il palazzetto dello sport di Firenze, riesce a contenerle – e giurano, dalla presidenza del Forum, di essere «scioccati», che in tanti anni di concerti e match non hanno mai visto migliaia di ragazzetti condividere un momento di studio e scuola del genere, rapiti, in silenzio. In realtà a noi non viene nemmeno in mente un momento di scuola e studio al quale vengono indirizzate mail come quella di una professoressa marchigiana che scrive «ai Colloqui Fiorentini sembra di assistere a una lotta tra Giacobbe e l’angelo. E lo dico da atea quale sono». O della docente lombarda che prima chiama il marito per dire, «torno a casa, la classe non è a questo livello», ma poi lo richiama in lacrime e dice che resta, «perché ho capito che qui non si sta parlando di letteratura ma di me». O della studentessa del quarto anno di Bagno a Ripoli: «Ho sempre pensato che la scuola mi stesse annullando. Per questa ragione spesso l’ho profondamente odiata. Eppure, in questi tre giorni trascorsi ai Colloqui Fiorentini, incredibilmente, non vedevo l’ora che quella sveglia suonasse» – eppure, si è ripetuta, si parlava di letteratura, si discuteva sul significato delle poesie di un autore, «e allora cosa c’è stato di così diverso e speciale da avermi percosso in questo modo?» – . O del ragazzo di Bari: «I Colloqui mi hanno mi hanno fatto rendere conto dell’importanza del mio “scordato strumento cuore”. Mi hanno fatto bene all’anima». Ma chi parla così, oggi? E cosa sono questi Colloqui?

IL “MISTERIO ETERNO DELL’ESSER NOSTRO”

Quest’anno è il centenario dell’Infinito e pur avendo già affrontato l’autore nel 2010, l’edizione che si svolgerà dal 7 al 9 marzo e a cui per un anno hanno lavorato un ormai collaudato comitato scientifico e didattico, è dedicata a Giacomo Leopardi “Misterio eterno dell’esser nostro” (qui programma, regolamento, tutto). È un verso tratto dall’inno che per Giussani meglio dice della sproporzione che desta nell’uomo una statura di sentimento che supera la banale quotidianità dei suoi sentimenti, Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima. E che c’è di più contemporaneo ai ragazzini in balìa non più delle correnti ideologiche degli anni Settanta ma dell’imperterrito andare delle cose ora che tutto è online, ora che tutto è rete, ora che il mondo è in tasca? Per ritrovare ciò che di umano è nell’uomo  (“nihil alienum” è il secondo nome dei Colloqui, tratto dall’opera di Terenzio Heautontimoroùmenos, «Homo sum: humani nihil a me alienum puto», sono un uomo: nulla di ciò che è umano mi è estraneo) anche quest’anno i ragazzi sono chiamati a realizzare una tesina di gruppo su un tema inerente al titolo del convegno o ai titoli degli interventi, partecipare al mattino alle “lezioni” degli ormai storici amici dei Colloqui, quelle del professore di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi del Molise Giovanni Maddalena, dello scrittore Alessandro D’Avenia, dei poeti Davide Rondoni e Gianfranco Lauretano, e al pomeriggio ai seminari tematici sparpagliati in quindici sale di Firenze. Seguono le attività facoltative a cura di Diesse Firenze e Toscana, come attraversare Firenze alla scoperta di Dante, «non “alla vostra destra, alla vostra sinistra”, con noi si incontrano i sassi, le anime del cristianesimo creativo seguendo Dante, Beatrice, le giubbe rosse, si incontrano gli uomini, si continuano i Colloqui nell’incontro di arte e letteratura». E oltre alla tesina, il regolamento per participare ai Colloqui prevede anche sezioni facoltative, ma amatissime dagli studenti, dedicate alla produzione di un racconto, un elaborato artistico, una fotografia, una performances musicale. Ogni lavoro presentato verrà valutato dalla giuria. E così è come funzionano i Colloqui.

«ABBANDONATE LE RETI», ANNO 2019

Ora, perché questo Convegno nazionale di letteratura abbia gemmato iniziative culturali affini e goda oggi di un successo incommensurabile tra le scuole di ogni ordine superiore da tutte le regioni d’Italia, in un tempo in cui la scuola ha sempre meno valore per la politica e per la società tutta – eccoli, amanti dei numeri, quelli dei Colloqui Fiorentini, presidente Gilberto Baroni e direttore Pietro Baroni: 4.000 presenze; 436 docenti; 812 tesine prodotte dagli studenti del biennio e del triennio; decine di produzioni artistiche e narrative; tre giorni di studio e di approfondimento culturale con relazioni di docenti universitari, poeti, saggisti, scrittori – fino a sbarcare in Inghilterra, con la partecipazione dell’Istituto Tasis The American International School in England di Thorpe, ospitare un dottorando, studioso di Leopardi, dal Giappone, registrare la presenza di nove università italiane di Firenze, Napoli, Verone, Ferrara, Chieti, Urbino, Macerata, Cassino, Bologna – questo non se lo spiega fino in fondo nemmeno Baroni. Forse qualcosa ha intuito quella ragazza di Bagno a Ripoli quando ha scritto che durante le conferenze e i seminari letterari «eravamo alla ricerca sfrenata dell’autenticità, una vera novità per me, lo ammetto. Non che non ne abbia mai sentito il bisogno, anzi, per me i Colloqui hanno simboleggiato il raggiungimento concreto di quella vera profondità di cui sentivo particolarmente la mancanza». Certo è che quella frase, nell’era di internet, «abbandonate le reti, lo seguirono», continua a funzionare.

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