Il problema della pandemia è la nostra autocoscienza

Articolo tratto dal numero di agosto 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

La pandemia ci richiama al silenzio e a meditare su noi stessi per domandarci chi siamo. Ma dovrebbe anche spingerci a mantenere un silenzio interiore per ripensare a che cosa sono gli esseri umani. «È un’opportunità di autocoscienza», rifletteva nei giorni scorsi il filosofo paraguaiano Mario Ramos-Reyes in una intervista concessa a Radio Cáritas dal Kansas, Stati Uniti, suo luogo di residenza già da diversi anni.

Prima però di proseguire oltre, occorre rispondere a una domanda: che cosa intendiamo per autocoscienza? «Autocoscienza è la capacità di riflettere su di sé fino in fondo [che non vuol dire rimanere in una introspezione psicologica]. Ma se uno riflette su se stesso fino in fondo in modo totalmente cosciente, incontra un Altro, perché dicendo “io” in modo totalmente autocosciente, m’accorgo che io non mi faccio da me» (Luigi Giussani, Raduno di sacerdoti, 9-16 settembre 1967, La Verna, Arezzo, citato da don Julián Carrón alla Giornata di inizio anno di Comunione e Liberazione nel 2012). Vale la pena di aggiungere che questo sguardo verso di noi ci aiuta in primo luogo a tornare all’origine del nostro io, a ciò che ci costituisce in ultima istanza come persone, come esseri umani.

Perciò, al di là dei problemi, dobbiamo considerare questo tempo come un momento storico, privilegiato per l’umanità. Il fatto è che, dinanzi alle circostanze che si presentano a noi nella realtà quotidiana, non possiamo restare indifferenti.

Rivendicazioni e domande

E quali sono queste circostanze? La crisi economica che ci ha colpito in pieno in questi mesi, e il peggio, a quanto pare, deve ancora arrivare. È una realtà che tocca ogni famiglia, gli amici che abbiamo intorno. Tutti noi incontriamo persone smarrite ed esposte all’incertezza di quello che potrebbe accadere. E quel che è più grave, tutte queste circostanze non hanno portato con sé un moto riflesso di solidarietà o di unità nel nostro paese, come si poteva sperare, a immagine del movimento spontaneo che si produce in una famiglia quando la situazione economica è grave. Al contrario, la tensione sociale è aumentata in maniera allarmante. Si moltiplicano le manifestazioni in cui ogni gruppo rivendica “il suo” e tutti pretendono attenzione da parte delle autorità. Sono messe in questione, talvolta in modo violento, le istituzioni democratiche che sostengono la nostra convivenza. Da parte sua, la classe politica appare sperduta, incapace di essere all’altezza delle circostanze storiche. La si vede dare priorità ai propri interessi invece che a quelli del popolo che l’ha eletta.

Tuttavia non prendiamoci in giro, il problema più grave non è quello economico né quello politico. È la censura della questione del significato, quello che mi permette di riconoscere colui che mi sta accanto come uguale a me, come uno che ha il mio stesso desiderio, le mie stesse esigenze, le stesse domande davanti alla vita. In fondo tutto si riduce a quanto detto sopra: un problema di autocoscienza.

La guida dello Spirito

Per questo, davanti ai problemi che ci pone la realtà, in ogni circostanza, possiamo adottare solo due atteggiamenti: ignorarli o lasciarci coinvolgere. Il primo atteggiamento è il più comodo e comporta una resistenza al cambiamento; il secondo significa implicarsi nel processo di cambiamento che è richiesto, e che se si compie con il necessario giudizio critico diventa risposta creatrice, che implica un imparare, un innovare, un cammino verso la trasformazione e l’adattamento alla nuova realtà.

«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). È questa la promessa di Gesù: che lo Spirito ci guiderà alla verità piena. Perché ne abbiamo bisogno? Perché la verità patisce continuamente la minaccia della riduzione, dell’ideologia. Anche noi corriamo questo rischio continuamente: nel momento in cui guardiamo alla realtà e a noi stessi, nella concezione che abbiamo di noi stessi e dell’avvenimento cristiano, nel vivere la vocazione. Non ridurre tutto questo e non ridurre noi stessi è una grazia che dobbiamo invocare e mendicare a Colui che Cristo ci ha indicato, lo Spirito. Solo Lui può condurci oggi a questa autocoscienza vera, della quale abbiamo particolarmente bisogno per vivere.

paldo.trento@gmail.com

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