«I nuovi puritani siamo noi». Il woke manda nel pallone i liberal

Un saggio di Anne Applebaum sull'Atlantic denuncia da sinistra la gogna sociale che subisce chi non si allinea al pensiero progressista. Ma non era solo una fissazione dei conservatori?

«Viaggiando in Europa dopo un anno e mezzo, sono colpito dal fatto che il totalitarismo morbido del “wokeism” non sembra essere un problema così grande nelle università continentali come lo è negli Stati Uniti e nell’Anglosfera più in generale». Così twittava lunedì lo storico e scrittore Niall Ferguson, subito prima di invitare «gli amici europei a leggere il recente saggio di Anne Applebaum» sull’Atlantic e un pezzo «complementare e non acritico» di Rod Dreher sul caso di mobbing ai danni di Joshua Katz, professore a Princeton accusato di razzismo per avere criticato una lettera di studenti e professori che denunciava con toni accesi le ingiustizie razziali nel campus. Oggi Katz è citato sul sito dell’Università di Princeton come cattivo esempio di razzismo combattuto dall’interno.

Norme che cambiano in continuazione

È un perfetto caso di “lettera scarlatta”, per riprendere il citato lungo saggio della Applebaum sull’Atlantic che cita il romanzo di Nathaniel Hawthorne per descrivere lo stigma sociale che schiaccia chi non si allinea al pensiero dominante. Sulla testata che pochi giorni fa ha ospitato il mea culpa di David Brooks sul clima di conformismo ideologico creato dell’élite progressista americana, la giornalista e scrittrice di origini polacche critica quelli che lei chiama “i nuovi puritani”, coloro che nelle università, sui giornali, nelle aziende e sui social network giudicano ed escludono dal consesso civile chi non si adegua abbastanza in fretta alle nuove norme di comportamento sociale.

«Proprio qui in America, in questo momento, è possibile incontrare persone che hanno perso tutto – lavoro, soldi, amici, colleghi – senza aver violato alcuna legge e, a volte, nemmeno le regole del posto di lavoro. Hanno però infranto (o sono accusati di aver infranto) codici sociali relativi a razza, sesso, comportamento personale o persino all’umorismo “accettabile”, che probabilmente non esistevano cinque anni o cinque mesi fa».

Una nuova “sovietizzazione”

Nel lungo articolo Applebaum fa parlare molte persone che sono state vittime o hanno osservato da vicino le conseguenze di questi cambiamenti sociali divenuti improvvisamente prove di colpevolezza per i tribunali dell’opinione pubblica in un mondo in cui, di fatto, stato di diritto e garanzie dell’imputato non esistono più. Basta una shitstorm sui social network ed ecco che «le persone smettono di parlarti, ti evitano, diventi tossico». Subito dopo arriva lo stigma sul posto di lavoro: «Se sei un professore, nessuno ti vuole come insegnante o mentore – scrive Applebaum – Non puoi pubblicare su riviste professionali». Ma non puoi neppure «lasciare il tuo lavoro, perché nessun altro ti assumerà. Se sei un giornalista, potresti scoprire che non puoi più pubblicare articoli».

Lo schema ormai è noto: basta un’accusa, un sospetto, una voce più o meno fondata che accusa qualcuno di razzismo, sessismo, avance troppo spinte a qualche collega, e quel qualcuno sarà messo ai margini da colleghi e amici, in condizione di non “nuocere” più a nessuno.

L’articolo di Anne Applebaum sui «nuovi puritani» per l’Atlantic

La saggista, premio Pulitzer per Gulag, paragona questa situazione a quella della sovietizzazione dell’Europa centrale negli anni 40, quando la pressione degli altri cittadini spingeva al conformismo politico comunista, non (ancora) la violenza o la coercizione diretta da parte dello stato. Che nel caso delle società americana e britannica questo succeda in ossequio a una cultura dominante tendenzialmente progressista è un fatto innegabile (recuperate il servizio di copertina dell’ultimo numero dell’Economist, a proposito, che parla del pericolo della sinistra illiberale). Sul punto specifico Applebaum nicchia, dice che non c’è un pensiero di sinistra unito che impone certi comportamenti, dà la colpa alla polarizzazione delle idee da una parte e dall’altra, dimenticandosi però che istituzioni, cultura e media più influenti stanno a sinistra, e sono i valori estremizzati della sinistra a essere difesi con la forza dalla polizia del pensiero che sui social mobbiza i non allineati.

Scusarsi non basta

Meglio tardi che mai, verrebbe da dire: dopo anni in cui le denunce sulla libertà di pensiero in pericolo nell’occidente “libero” arrivavano soltanto da voci del mondo conservatore, ed erano commentate con sarcasmo da chi a sinistra accusava quelle voci di complottismo e ricerca dello scontro, il mondo liberal inizia ad accorgersi dei danni fatti a forza di pretendere di essere dalla parte giusta della storia.
È la vecchia storia della gogna, ben descritta nel saggio dell’Atlantic, per cui chi è stato ritenuto colpevole cerca subito di scusarsi. Inutilmente, però, perché ai nuovi puritani non basta niente: «Non vogliono perdonare – scrive Applebaum – vogliono punire e purificare». Non si salva nessuno: gli agenti di questo nuovo totalitarismo scaveranno nel passato, e prima o poi troveranno un video, un tweet, una battuta anche di quindici o venti anni fa a cui inchiodare il colpevole.

Basta un tweet di dieci anni fa

È il caso di Alexi McCammond, giovane giornalista nominata direttrice di Teen Vogue a marzo 2021: un suo tweet di dieci anni fa considerato omofobo e razzista le ha fatto perdere il posto prima ancora di iniziare a lavorare. L’articolo di Applebaum è ricco di storie come questa, mette bene a fuoco le conseguenze che questo clima ha sui rapporti tra le persone, là dove gli svantaggi sono più dei vantaggi: un giovane certamente avrà meno possibilità di ritrovarsi un capo “predatore”, ma il risultato è che un professore non incontrerà più i suoi studenti in orari diversi da quelli delle lezione e del ricevimento, e i colleghi non andranno più a bere insieme dopo il lavoro.

«Un complimento fatto con leggerezza da una persona è la microaggressione di un’altra. Un’osservazione critica di qualcuno può essere vissuta da un altro come razzista o sessista. Scherzi, giochi di parole e tutto ciò che può avere due significati sono, per definizione, aperti all’interpretazione». E nella ossessione contemporanea di tutelare sempre e comunque la vittima, reale o immaginaria che sia, chi parla o agisce non secondo i dettami del momento avrà la lingua e la mano mozzate.

Chiunque crei disagio a qualcun altro con un’opinione, una lezione, un articolo o anche solo la propria personalità “può improvvisamente trovarsi dalla parte opposta e sbagliata non rispetto a uno studente o a un collega, ma rispetto a una intera burocrazia dedita a cancellare chi provoca disagio”. E questa burocrazia, conclude Applebaum, è illiberale.

Nessuno è al sicuro

Nessuno è al sicuro, avverte la scrittrice. L’invadenza della tecnologia per le comunicazioni nelle nostre vite ha reso quasi ogni istante delle nostre esistenze registrabile e tracciabile: tra dirette Zoom, fotocamere dei cellulari sempre accese, registratori in miniatura e altre forme di tecnologia di sorveglianza a basso costo, i commenti di chiunque possono essere presi fuori contesto e usati contro di lui.

Sebbene il saggio di Applebaum non faccia troppa differenza tra pensiero ed egemonia culturale di destra e sinistra, e accusi in modo forse un po’ semplicistico i social network per questa deriva, è una testimonianza potente di come quello che Rod Dreher chiama “totalitarismo soft” non sia solo una fissazione di qualche conservatore reazionario che vuole soffiare sul fuoco della divisione, ma un problema che finalmente inizia a interrogare anche la sinistra progressista che ha creato, educato e coccolato i nuovi puritani dell’ideologia woke.

Foto Ansa

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