Haiti, il popolo macella le bande armate

Le esecuzioni sommarie di Bwa Kale, il movimento di rivolta senza leader celebrato dai giornali, terrorizzano le gang che tengono in ostaggio il paese. Ma ora la violenza è inarrestabile e scegliere di non combattere è impossibile

«Qui ad Haiti il livello di violenza è al di là di ciò che gli esseri umani possono sopportare. Hai paura ogni giorno. Ti chiedi sempre se sarai il prossimo. Tutti hanno paura, chiunque può essere identificato come un potenziale affiliato a una banda. Centinaia, addirittura migliaia di persone potrebbero essere linciate. Molte persone hanno paura di combattere, ma come puoi scegliere da che parte stare o se hai intenzione di combattere? Questa è la grande domanda: come evitare la guerra civile, quando non sai più chi è il buono e il cattivo?».

Così Emmanuel al Sun: il volontario si prende cura degli ultimi di Port-au-Prince, la capitale di Haiti quasi interamente controllata dalle bande armate. Qui alluvioni, terremoti, inflazione alle stelle, fame, carestia, malattie, rapimenti, estorsioni, stupri, torture e omicidi lasciano ogni giorno cadaveri sulla strada accanto ai bossoli delle mitragliatrici. Ma da poche settimane a terrorizzare Emmanuel è il successo di Bwa Kale, il violentissimo movimento di rivolta senza leader celebrato dai giornali, Haiti Liberté in testa.

Haiti e la giustizia sommaria di Bwa Kale

Un movimento nato dalla sofferenza e dalla sete di vendetta della popolazione, che punta a riprendere il controllo dei quartieri restituendo ai criminali quanto patito dalla gente inerme. Tempi ve ne ha parlato qui: era l’alba del 24 aprile scorso nel quartiere di Canapé-Vert, quando una folla ha fatto irruzione nella stazione di polizia, dove erano appena stati portati 14 sospetti contrabbandieri. La folla li ha trascinati fuori, linciati e bruciati, filmando e diffondendo le immagini dei loro corpi fumanti: era appena nato Bwa Kale, stesso modus operandi degli aguzzini – terrorizzare, identificare, catturare e uccidere -, un solo scopo, fare giustizia, giustizia sommaria.

Il movimento è intriso dell’iconografia della Révolution haïtienne del 1791-1804, scoppiata con la rivolta degli schiavi liberati contro il governo coloniale francese a Saint-Domingue (attuale Haiti) che portò alla nascita della prima repubblica libera, ma anche al massacro di tutta la popolazione bianca, dalle tremila alle cinquemila persone. C’è il video dell’uomo che suona la conchiglia davanti a migliaia di manifestanti come convocasse gli schiavi in battaglia, la donna che marcia sbattendo un cucchiaio su una pentola che è già diventata l’icona della rivolta, i filmati delle lame dei machete affilati tra le scintille dagli haitiani pronti ad applicare la legge del taglione.

L’alleanza tra polizia e rivoltosi contro le bande armate

La rivolta ha “funzionato”: a maggio sono state «inseguite, linciate e bruciate vive» oltre 160 persone, sottolinea il Center for Analysis and Research in Human Rights, che ha registrato in un mese una «drastica riduzione» degli omicidi perpetrati dalle bande in seguito alle esecuzioni di Bwa Kale: “solo” 43 a maggio, contro i 146 delle prime tre settimane di aprile. «Senza dare un giudizio di valore, il movimento Bwa Kale ha prodotto in un solo mese risultati convincenti e visibili; la paura ha cambiato schieramento».

Fino all’incidente di Canapé-Vert, la polizia era un problema: troppi pochi agenti (secondo le Nazioni Unite sono appena 3.500 gli uomini deputati a proteggere 11 milioni di persone tenute in ostaggio da oltre 200 bande), troppa corruzione. Oggi gli ultimi “sceriffi” e vigilantes hanno trovato in Bwa Kale un alleato insperato: le immagini della folla inferocita che corre con gli agenti o partecipa alle operazioni di polizia si diffondono in tutto il paese, diffondendo il terrore tra le gang. Ma anche tra la popolazione.

Tra omicidi della gang e linciaggi di popolo

In balìa della propaganda agitata contro Bwa Kale (da chi ha interesse a mantenere Haiti un dispensario di droga, tangenti, armi, soldati), e dell’eterna guerriglia tra gang letali come la G9 di Jimmy Chemizier “Barbecue” e la G-Pép guidata da Ti Gabriel, la gente teme anche la rivolta. In un paese che ha visto l’ultimo presidente legittimamente eletto assassinato in una congiura di palazzo e che continua ad affondare nell’indifferenza della comunità internazionale, assieme quelli dei linciaggi hanno iniziato a circolare i video delle “perquisizioni” dei sospetti e di confessioni estorte, nonché le prime notizie di persone uccise solo perché provenienti da un quartiere controllato dalle bande armate.

«Due domeniche fa abbiamo celebrato i funerali di tre ragazzi di 19 anni fatti a pezzi da Bwa Kale. La loro colpa: avere partecipato a una festa in un altro quartiere provenendo da Waf Jeremie, il nostro quartiere controllato in parte dalla G9», conferma a Tempi suor Marcella Catozza, missionaria a Waf Jeremie, costruito sulla discarica di Port au Prince.

«Ma la missione non è una forma di resistenza»

«Ho chiesto a uno dei nostri ragazzi appena diventato maggiorenne di venire a lavorare da noi e mi sono offerta di aiutarlo ad affittare una casa fuori dalla baraccopoli: mi ha risposto che fuori dal quartiere lo avrebbero ammazzato e non aveva altra possibilità che restare a vivere lì, nella bidonville sulla discarica dove le poche case in muratura non sono che baracche senz’acqua, corrente e nessuna possibilità di metterci qualcosa di più. L’unica possibilità, l’unico salto possibile agli occhi dei suoi coetanei, è decidere per chi combattere, in quale banda entrare così da assicurarsi almeno il cibo per vivere. Ogni altro cammino è impossibile. Possiamo solo resistere ai ricatti quotidiani, alle violenze, alla fame, a piogge e terremoti. Ma la missione non è una forma di resistenza. L’uomo non è fatto per la discarica».

Foto Ansa

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