I salvatori del mondo

«Come possiamo salvare il pianeta se non riusciamo a salvare noi stessi?». Se lo chiedeva Robert Hunter, uno dei fondatori di Greenpeace

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – How to change the world è il titolo del documentario presentato al CineAmbiente di Torino che narra la prima storica impresa dell’Ong ambientalista Greenpeace. L’opera di Jerry Rothwell mostra la prima battaglia degli attivisti che, a bordo del peschereccio Phyllis Cormack, giunsero il 15 settembre 1971 in Alaska per fermare un test nucleare Usa. Di lì in poi, sarà una lotta continua per preservare balene, foche, orsi polari. Personaggio carismatico del gruppo era il reporter del Vancouver Sun, Robert Hunter, che già negli anni Settanta aveva capito l’importanza delle immagini, tanto da riprendere gli assalti secondo precise regole scenografiche.

Oggi Greenpeace è una delle “fabbriche del bene” più celebri ma anche più contestate al mondo. Alcuni di quegli stessi fondatori, come Patrick Moore, se ne sono andati accusando la Ong di essere solo un covo di eco-marxisti, ignoranti e anti-umani (Greenpeace è pro aborto), e di condurre battaglie ideologiche contro Ogm e nucleare. Di qualcosa si doveva essere accorto lo stesso Hunter che, vedendo sfaldarsi man mano il sogno di “cambiare il mondo”, era arrivato a scrivere: «Come possiamo salvare il pianeta se non riusciamo a salvare noi stessi?».

Ogni benintenzionato salvatore dell’universo dovrebbe porsi una domanda simile per uscire dall’incanto delle sue utopie. Accanto a quella evangelica: «Quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà se stesso? O che darà l’uomo in cambio di sé?».

Foto Ansa

Exit mobile version