«Grecia? Essere pessimisti è quasi obbligatorio. L’austerità rischia di straziare il popolo»

Intervista all'economista Gianfranco Fabi, ex vicedirettore vicario del Sole 24 Ore: «La Grecia non aveva i numeri per adottare la moneta unica, ma l'Europa l'ha accettata. L’euro ha coperto l'incapacità di avviare politiche di sviluppo».

Cinquanta poliziotti e almeno 70 manifestanti feriti, altrettanti arrestati. È questo il bilancio degli scontri di ieri ad Atene, mentre il governo varava nuove misure di austerità. Un dibattito acceso ma necessario, con l’obiettivo di ottenere il nuovo pacchetto di salvataggio internazionale da 130 miliardi di euro per evitare la bancarotta. Il nuovo pacchetto prevede il taglio di 15 mila dipendenti pubblici e l’abbassamento di stipendi e pensioni, ma anche un accordo di bond-swap con i creditori privati per permettere alla Grecia un taglio di 100 miliardi di euro del suo debito. Il portavoce del governo ha annunciato che le elezioni anticipate si terranno tra la fine di marzo e aprile. C’è solo un mese e mezzo di lavoro.  Il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos ha chiarito che il Parlamento è chiamato a «scegliere il male per evitare il peggio». Riuscirà il governo ad evitare la rivolta sociale? Questa crisi era evitabile? Per il professore ed economista Gianfranco Fabi, ex direttore di Radio 24 ed ex vicedirettore vicario del Sole 24 Ore, si tratta di un segnale di «fragilità estrema» dell’Ue che, dichiara a tempi.it, patisce la mancanza di una politica comune, mai esistita.

Perché la Grecia si trova in questa condizione drammatica?
La Grecia è stata troppo ambiziosa ad agganciarsi alla moneta unica europea. Truccando i conti, tra l’altro: pare che uno dei montaggi finanziari escogitati da Goldman Sachs abbia nascosto miliardi di debiti. Non rispettava i parametri, e nonostante questo l’Europa ha accettato la situazione. È vero che si trattava di un periodo positivo, non c’era ancora la crisi economica: ma col senno di poi, è stato un grave errore.

È mancata una vigilanza puntuale da parte dell’Ue?
L’Europa si è fidata troppo. Il debito pubblico, già allora, era superiore al 110%. Il problema di fondo è che l’Europa non ha una politica economica vera e propria, se non quella di erogare contabile, che ha come obiettivo quello di garantire la moneta unica, e lascia i paesi liberi di adottare singole strategie. Il risultato è che si sono salvaguardati strumenti di controllo, spesso inutilmente, a scapito di politiche di crescita. Che sono a discrezione del singolo governo: la Germania ha riformato la contrattazione sul lavoro, ha sostenuto le industrie, e di fronte alla crisi si trova equipaggiata. La Grecia, no.

Perché le tradizionali politiche economiche europee si sono rivelate inefficaci?
La Grecia si è servita dell’Europa per non affrontare i problemi interni, piuttosto che risolverli. Adottando l’euro ha potuto ottenere prestiti e collocare i propri titoli a tassi bassi, perché il mercato, solo per il fatto che fossero in euro, li riteneva garantiti dall’Europa. Finita la luna di miele, si è capito che anche se in euro, i titoli rimangono greci. Quindi dipendenti dalla capacità della Grecia di governare. L’euro è stato come una maschera di carnevale sorridente, mentre dietro c’era una realtà politicamente incapace di avviare serie politiche di sviluppo.

Oggi la Grecia, domani l’Italia?
La crisi ha già coinvolto il nostro paese, come ci ricorda lo spread. Però abbiamo una struttura industriale più forte. Inoltre metà del debito pubblico italiano è un credito privato, quindi in mano agli italiani. In questo senso, abbiamo una carta in più. Inoltre abbiamo un patrimonio pubblico molto elevato, che spero lo Stato metta a frutto, vendendolo. Il nostro peccato originale è che a fronte dell’emergenza il governo ha reagito solo con l’aumento delle tasse, mentre da un decennio a questa parte nessuno si è preso la briga di adottare seriamente una politica di riduzione della spesa pubblica. 

L’estate scorsa il Wall Street Journal rivelava che Berlino e Parigi avevano preteso l’acquisto di armamenti come condizione per approvare il piano di salvataggio della Grecia. Le pressioni di Berlino sul governo di Atene per vendere armi sono state denunciate nei giorni scorsi anche dalla stampa tedesca. Non è un controsenso? 
La Germania ha la sua politica. Negli ultimi mesi ha dimostrato di essere prudente, controllata, non generosa, fino al punto di rottura. È ancora scettica sul piano di salvataggio, e fa valere i suoi interessi. Certo, ci sono anche dei problemi strategici, legati al contenzioso con la Turchia: ci sono problemi che vengono giocati anche a livello geopolitico. Detto questo, ancora una volta il problema sta nel concetto stesso di Europa: perché non pensare a una politica di difesa complessiva, combinata, quindi finanziata dall’Ue? Invece si scaricano sul singolo Stato gli oneri. È l’ennesimo caso di mancata solidarietà europea.

Le misure di austerità saranno sufficienti? O è troppo tardi? 
Purtroppo, a questa fase, essere pessimisti è quasi obbligatorio. Si doveva agire prima. Ancora una volta, la politica europea punta più ai numeri che alla qualità degli interventi. Al netto delle manifestazioni di piazza, c’è da sperare che la Grecia sappia mettere a frutto la sua potenzialità dal punto di vista del turismo. Non sarà facile applicare misure di privatizzazione, seppur necessarie, perché si tratta di un paese che si è abituato per anni ad avere un’economia sostenuta dalla spesa pubblica. In questo scenario, sarebbe stato utile svalutare la moneta. Non ho una ricetta, ma non escludo che nel giro di qualche mese si possa trovare una via d’uscita, ad esempio facendo sì che la Grecia possa svalutare il proprio Euro pur restando nella moneta unica. Di certo si deve dismettere il patrimonio pubblico, per finanziare la crescita economica. Risolvere i problemi al ribasso non fa che straziare una popolazione già in grande difficoltà.

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