Gli affari delle “Big Five” dopo lo scoppio della guerra in Ucraina

Un rapporto fa i conti in tasca alle grandi compagnie americane del petrolio e del gas. Profitti che non si sono trasformati in investimenti nelle energie rinnovabili

Chi fa soldi con la guerra? Chi se ne approfitta per fare profitti? È una delle domande che ricorrono più spesso quando scoppiano conflitti, e la guerra russo-ucraina non fa eccezione. A parte il discorso sulle forniture belliche vere e proprie, chi è che ha visto impennarsi la colonnina dei guadagni in questi quattordici mesi e passa di guerra? Una prima risposta arriva dal rapporto di Greenpeace Who Profits From War: How Gas Corporations Capitalise on War in Ukraine.

A ispirare l’inchiesta dell’organizzazione ambientalista è la sua scelta di campo a favore della generalizzazione delle energie rinnovabili costi quel che costi, e quindi la sua opposizione ai programmi di sostituzione delle forniture di gas russo all’Europa con quelle di gas di altri paesi. Ma a prescindere dalle motivazioni ideologiche della ricerca, i risultati sono interessanti perché individuano chiaramente alcuni dei soggetti che hanno tratto grandi vantaggi economici dagli avvenimenti bellici del 2022 e dalle loro ricadute geopolitiche.

192 miliardi di profitti nel 2022

La risposta alla domanda sui “profittatori di guerra” è molto chiara: le grandi vincitrici della guerra d’Ucraina sono quelle che il rapporto definisce le “Big Five oil and gas companies”, le cinque grandi compagnie del petrolio e del gas: ExxonMobil, Chevron, Shell, BP e TotalEnergies. Grazie all’aumento dei prezzi del gas e del petrolio e della politica delle scorte dei paesi europei impegnati a liberarsi della dipendenza dal gas russo, queste cinque multinazionali dell’energia fossile hanno visto passare i loro profitti dai 99 miliardi di euro del 2021 ai 192 miliardi di euro del 2022: quasi il doppio nel giro di un solo anno. La più beneficiata di tutte è stata ExxonMobil, che ha visto aumentare in un anno i suoi profitti del 141 per cento e il valore delle sue azioni in borsa del 167 per cento nel biennio 2021-22.

«Secondo i dati a disposizione, le società statunitensi di Gpl stanno emergendo come le grandi vincitrici della crisi dell’approvvigionamento in Europa. A causa dei volumi record di esportazioni verso la Ue, dei prezzi record pagati e del numero record di contratti firmati nel 2022, l’anno è stato a dir poco storico per le società statunitensi di Gpl. Importanti società di gas americane come Cheniere Energy, che è la più grande esportatrice Usa, sono tra i principali beneficiari a causa dei loro ricchi contratti a lungo termine per la fornitura di Gpl firmati negli ultimi mesi. Cheniere ha riferito di aver raddoppiato i suoi ricavi fra il 2021 e il 2022». Anche Cheniere Energy, impresa texana specializzata nell’esportazione di gas liquido dal 2016, ha visto impennarsi il valore del suo titolo in borsa, cresciuto nel biennio 2021-22 del 150 per cento.

Da 55 a 254 milioni di euro

Ma i veri fortunati del boom delle esportazioni di gas americano in Europa sono i mediatori che organizzano le spedizioni transoceaniche. «Non dovendosi preoccupare dell’aumento dei costi di produzione a causa dell’inflazione o delle politiche interne che incidono sui siti di estrazione, gli intermediari nel commercio di Gpl fra America e Unione Europea sono forse quelli che hanno davvero pescato il biglietto della lotteria nel 2022. Al culmine dell’estate, una singola spedizione di Gpl poteva generare 185 milioni di euro di profitti, e di questi i commercianti di gas ne raccoglievano una grande parte. Questi trader includono divisioni delle grandi società di combustibili fossili (come Shell, BP e TotalEnergies che hanno molti contratti di portafoglio con i produttori statunitensi di Gpl), ma anche società specializzate nel commercio di energia come Gunvor o Trafigura.

Questi intermediari nel business dell’energia hanno un modello di business notevolmente semplice: sfruttano essenzialmente le differenze tra i prezzi dell’energia sul mercato americano e sul mercato europeo. In media, il Gpl statunitense viene scambiato a prezzi legati all’indice Henry Hub, l’indice dei prezzi del gas di riferimento negli Stati Uniti. Ciò significa che questi commercianti possono riempire una nave cisterna e inviarla attraverso l’Atlantico al costo di circa 55,31 milioni di euro. Dall’altra parte dell’Atlantico, questa stessa spedizione viene venduta sul mercato spot ai prezzi europei dell’indice dei prezzi della borsa del gas di Amsterdam, per un valore di circa 254 milioni di euro».

I nuovo contratti

Il rapporto fa notare che quasi la metà di tutti i profitti delle “Big Five” nel 2022 – 94 miliardi di euro – sono andati agli azionisti, e non a investimenti nelle energie rinnovabili o in altri progetti infrastrutturali. Fa pure notare che ad arricchire gli azionisti delle grandi compagnie dell’energia sono stati i consumatori europei: «Secondo i dati commerciali di Eurostat, nel 2020 la bolletta delle importazioni di energia della Ue ammontava a 221 miliardi di euro. Nel 2021, la bolletta è quasi raddoppiata a 390 miliardi di euro. E nel 2022, l’anno dei prezzi record, la bolletta delle importazioni di energia della Ue è più che raddoppiata di nuovo a 834 miliardi di euro. Il tutto mentre l’Europa consumava meno energia degli anni precedenti».

Mentre fino a ieri i paesi Ue apparivano dipendere dal gas russo, che rappresentava il 41 per cento di tutto il gas importato da fuori del blocco, e dai gasdotti che lo portavano in Europa, dal 2022 in avanti dipenderà prevalentemente dal gas liquido americano (le cui esportazioni verso il continente sono aumentate del 140 per cento nel 2022 rispetto all’anno precedente) e dai terminal marittimi dei rigassificatori: 8 sono già in costruzione e altri 38 sono in programma, per i quali la Ue ha stanziato 10 miliardi di euro.

Che gli Usa se ne avvantaggeranno, è certo: «Gli Stati Uniti hanno approvato progetti che, se realizzati, farebbero raddoppiare la capacità di esportazione di gas liquefatto a 439 miliardi di metri cubi all’anno». I nuovi contratti hanno durate che oscillano fra i 15 e i 20 anni. Prima della guerra, la Ue importava 373 miliardi di metri cubi di gas all’anno, e di questi 153 provenivano dalla Russia.

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