Gheddafi rilascia messaggi audio e video: «Resto a Tripoli, vivo o morto» – Rassegna stampa/1

I ribelli hanno preso Yafran e sono a 70 km da Tripoli. Ieri Gheddafi ha inviato un messaggio audio e uno video, dove afferma: «Non abbiamo paura dei vostri missili, non ci arrenderemo, le tribù sconfiggeranno le truppe armate». Intanto però i raid Nato si fanno più pesanti: distrutti edifici attorno al compound di Gheddafi, colpita anche la residenza del rais

“Tripoli – I ribelli dell’ovest hanno preso Yafran, quasi senza colpo ferire, e sono scesi a Bir Ayyad, in pianura. (…) Vuol dire che tra pochi giorni, o poche settimane, può cambiare tutto. I giornalisti pensano che cosa si può fare, come evadere la trappola dell’albergo. Gli oppositori, in città, pensano a che cosa cambia per loro. I fedelissimi pensano come prepararsi alla battaglia di Tripoli. Ognuno pensa a come cavarsela, a che bandiera mettere o togliere sul balcone, a come scomparire, se l’impossibile dovesse succedere” (Foglio, p. 2).

Dopo l’attacco di ieri della Nato al compound di Muammar Gheddafi in Libia, il Colonnello ha consegnato un messaggio audio, poi uno video, alla tv di Stato, che l’ha trasmesso. Non compariva dall’incontro con Zuma: «Non abbiamo paura dei vostri missili, resto a Tripoli vivo o morto per dimostrare il coraggio del popolo libico. Non ci inginocchieremo, non ci arrenderemo, le tribù sconfiggeranno le truppe armate».

“Le incursioni hanno superato le diecimila, e sembra che gli elicotteri da combattimento che decollano dall’Ocean e dal Tonnerre, al largo delle coste, abbiano aggiunto efficacia. Ieri ci hanno portato a vedere uno degli obiettivi colpiti nella notte. Un complesso di edifici davanti al porto, sul lungomare. (…) I missili hanno centrato uno dopo l’altro il Centro per l’unione del Maghreb, il Centro per la pace, la sede dello speaker del Congresso, la commissione per l’Infanzia, l’ufficio del procuratore generale. (…) Adesso sono un cumulo di macerie sulle quali il vento solleva polvere e fogli” (Foglio, p. 2).

“Viene da chiedersi se anche Khaled Seem, il viceministro dal gessato che si impolvera tra le macerie, pensi al suo dopo, come invita a fare il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, se abbia un piano personale, se abbia una famiglia, o vada avanti soltanto per continuità, o fedeltà, o inerzia, o assenza di alternative. Non lo sappiamo, (…) nessuno sa niente, qui a Tripoli, e tutti pensano in silenzio. E’ un silenzio che può durare mesi, settimane o giorni, ma non per sempre” (Foglio, p. 2).

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