Gattaca non è più fantascienza. Arriva da Londra l’idea di assegnare a ogni uomo un destino in base al Dna

Validi e non validi: ecco la divisione della società del futuro. Ci sono i validi, i geneticamente perfetti, privi di qualsiasi difetto anche presunto nel Dna, selezionati e clonati, scelti dalle aziende per i lavori di rilievo e più adatti al loro codice genetico. Abbiamo poi i non validi, comuni esseri umani, portatori di un genoma banalissimo: metà dalla mamma, metà dal babbo, un po’ rimescolato, con le mutazioni ed i difetti che ognuno di noi si porta dietro. Loro, i difettati, vanno bene per i lavori più generici, umili, sconci.

È il semplice riassunto di un film del 1997, Gattaca, che porta il nome di una sequenza di basi azotate (dei “mattoncini” che, messi in fila, costituiscono il nostro Dna): Guanina, Adenosina, Tiamina, Citosina.

Potevamo chiamarla fantascienza, ma ora è fantarealtà. Il metodo di punta si chiama GCTA, prevede lo studio di “tratti complessi su tutto il genoma” ed è quello sviluppato dal professor Plomin del King’s College di Londra. Semplificando al massimo (ma non provatelo a casa!): si prendono migliaia di gemelli, che sono dei “cloni naturali”, separati alla nascita per qualche motivo (famiglie diverse, scuole diverse, eccetera); si guardano quindi le differenze e le similarità, sia comportamentali che cognitive, per poi raffrontarle con alcuni pezzi di Dna scelti come marcatori. Si può quindi stimare quanto del risultato finale possa essere dovuto ai geni, e quanto all’educazione e all’ambiente, e decidere anche quali di quei marcatori possano aver avuto più influenza sui diversi individui.

Affascinante, si può pensare. Basta perder tempo con seminari di orientamento e pubblicità alle scuole. Test del Dna, ormai relativamente veloce ed economico, e zac: bollino in fronte. Tu farai il matematico, tu invece laverai le scale. Classi differenziate e vite differenziate, per non perder tempo con chi non se lo merita. Parole d’ordine: perfezione ed efficienza.

È questo un mondo ideale?

È stato supposto che circa il 50 per cento dei risultati di un bambino dovrebbero essere dovuti al suo genoma, il resto all’educazione. Secondo Plomin comunque questo è sufficiente per poter classificare i bambini all’origine e deciderne le scelte scolastiche e, di conseguenza, il resto della vita. Da una parte dell’individuo, se ne decide il tutto.

Ci si può chiedere che differenza ci sia tra questa proposta e il ritorno alle classi sociali alla vecchia maniera, in stile caste indiane. Una volta nato in una certa famiglia, rimani a “quel livello”, con le sue scuole, i suoi mestieri predefiniti, senza possibilità di cambiamento. Dopotutto, se il 50 per cento di quel che sono è dovuto ai miei geni, il restante 50 per cento sarà dovuto all’ambiente, ovvero alla famiglia in cui sono cresciuto e alle mie esperienze. Entrambi i metodi di classificazione sarebbero quindi equivalenti e scientificamente giustificabili!

Speriamo che la proposta “genetico-classista” di Plomin, come tante altre, rimanga sulla carta dei suoi libri e articoli, e che le preferenze personali non debbano essere imbrigliate, né ora né mai, da quello che a prescindere dovrebbe essere buono per noi. Speriamo che l’individuo sia sempre libero di scegliere per sé, da solo o consigliato, quello che è meglio fare nella vita di tutti i giorni. Lasciamolo decidere, lasciamolo sbagliare, lasciamo che si sforzi nel fare anche quello per cui non è portato e che tralasci quello in cui è bravo, che magari lo annoia o lo intristisce. Saranno l’entusiasmo, la passione, i sorrisi gratificanti delle maestre, la competizione e tanti altri fattori a far eccellere ciascuno in un campo. Non sarà il migliore dei mondi possibili, ma non si può che aborrire un mondo dove il Dna, come un codice a barre, posizioni alcuni su uno scaffale del supermercato e altri nel reparto degli scarti.

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