Fibromialgia. La battaglia di Marta per fare riconoscere all’Italia un male rimasto a lungo “immaginario”

Intervista alla fondatrice del comitato "Fibromialgia prima linea in Lombardia" e promotrice di una petizione europea per il diritto alla cure

Nel 2009 il Parlamento europeo ha riconosciuto la fibromialgia come una malattia estremamente invalidante di cui solo in Europa sono stati diagnosticati 14 milioni di casi. Ma in Italia – dove non esistono studi sistematici ma secondo alcune stime i malati di fibromialgia potrebbero essere addirittura 3 o 4 milioni – poco si è fatto da quando il problema è diventato “ufficiale”. Per questo Marta Bianchi, che dopo un calvario di 10 anni nel 2014 ha scoperto di essere affetta da questo morbo, ha messo in moto una rete di solidarietà dando vita al comitato “Fibromialgia prima linea in Lombardia”, che sta raggruppando tutti i malati sul territorio. «Questo è importantissimo – spiega la donna a tempi.it – perché la nostra è una condizione che ha un’insorgenza sconosciuta, spesso genetica, alterante i neurotrasmettitori e difficile da diagnosticare».
I crampi, i problemi di movimento degli arti, all’udito, la perdita della memoria, la frustrazione per essere considerati malati immaginari, consumano quanti ne sono afflitti senza saperlo. La Bianchi lo può testimoniare personalmente, visto che a un certo punto, con una famiglia da mantenere, è stata costretta a lasciare il lavoro di maestra «per colpa delle amnesie e della stanchezza, perché la fibromialgia non ti fa nemmeno dormire la notte».

LA DIAGNOSI: UNA SVOLTA. Ma la storia di questa donna, che ha cresciuto da sola tre figlie piccole, ingegnandosi con mille lavoretti, è la stessa che accomuna molti malati di fibromialgia. «Sostenere tutto questo carico di necessità fisiche ed economiche non è facile, ma non incolpo nessuno. Anche se ho passato anni fra un ospedale e un altro, con medici di ogni tipo che mi hanno sottoposta a una serie infinita di esami per poi dirmi che non avevo nulla e che era tutto nella mia testa. Volevano curarmi con gli psicofarmaci, dicevano che l’importante era che continuassi a fare una vita normale. Non ne potevo più. Mi fidavo di loro e ho cercato di fare tutto il possibile, con sforzi fisici enormi, ma ho solo peggiorato la mia condizione». Finché nel 2014, dopo 10 anni di ricerche, Piercarlo Sarzi Puttini, primario di reumatologia all’ospedale Sacco di Milano, è riuscito a dare un nome al male di Marta. «Appena mi ha visitata, ha capito cosa avevo». Il dottor Sarzi Puttini collabora con la Mayo Clinc di New York dove la ricerca è avanzatissima. Avere finalmente una diagnosi, ricorda la Bianchi, «è stato liberante. Un’autentica svolta nella mia storia: poter dare il nome alle cose dà speranza, rimette in moto». Adesso, grazie al comitato nato da lei, i malati italiani di fibromialgia, pur rimanendo di fatto invisibili per il sistema sanitario nazionale, «si possono mettere in rete e supportarsi, non solo moralmente ma anche concretamente».

COMITATO E PETIZIONE. Come sosteneva la grande scrittrice americana Flannery O’Connor, affetta dal lupus, «la malattia è un luogo molto più istruttivo di un viaggio in Europa». Marta Bianchi, dopo tutti questi anni di sofferenza, solitudine e incomprensioni, è diventata un punto di riferimento per molte persone. Morena Pantalone ha promosso una petizione europea che ha raccolto oltre 40 mila firme: «Vogliamo arrivare a 100 mila sottoscrizioni, chiediamo che l’Italia ci riconosca il diritto alla cura. Anche perché molti degli affetti da fibromialgia, proprio come è successo a me, sono stati abbandonati dai coniugi e dagli amici, che non hanno saputo “portare” il loro disagio e non sono riusciti a comprenderlo, visto che per i medici nemmeno esisteva». L’abbandono, spiega la donna, quando il fisico e la memoria non reggono ed è impossibile lavorare, «rende impossibile l’accesso alle cure specifiche come la fisioterapia, il nuoto o le infiltrazioni contro il dolore». La Bianchi spera che il comitato da lei fondato ottenga presto un’audizione dalla commissione Sanità della Lombardia, affinché anche il sistema sanitario regionale «ci sostenga come fanno già le province autonome di Trento e di Bolzano, la Valle d’Aosta e altri paesi europei».

LA RETE DI SOSTEGNO. Tavoli per affrontare i problemi delle persone affette da questa patologia sono stati aperti di recente anche in Toscana e in Friuli-Venezia Giulia. «Dal punto di vista nazionale, invece, siccome l’Italia non ha risposto al Parlamento europeo, stiamo procedendo con la petizione online». Tra i compiti che si è dato il comitato dei fibromialgici lombardi c’è anche quello di diffondere un protocollo informativo per i medici di base, che serve a informarli che «in presenza di determinati sintomi i pazienti devono essere mandati dai reumatologi anziché dai neurologi». Marta Bianchi vuole raggiungere più gente possibile per far conoscere (e riconoscere) una realtà che fino a poco tempo fa era nascosta. E offre amicizia: «Ho ricevuto circa 50 storie e diagnosi delle persone che aderiscono al comitato», spiega a tempi.it. «Sono impressionata dalla forza che ricevo, dalla fede di tanti che si sono messi in rete per sostenersi: ci aiutiamo economicamente, fisicamente se possibile, e soprattutto nella speranza».

@frigeriobenedet

Foto fibromialgia da Shutterstock

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